Le donne nell’Ottocento e le difficoltà per emergere come artiste

Il rapporto tra l’arte e il mondo femminile è sempre stato difficoltoso e turbolento. L’emergere delle donne nel campo artistico risulta essere in passato impossibile per certi versi.

Al fine di analizzare come la figura femminile si sia rapportata con l’arte e l’essere artista, può essere rappresentativo il secolo Ottocento, periodo in cui la donna inizia ad interessarsi alle arti in quanto possibile artista creatrice e non solo come ammiratrice passiva.

Espressione di questo periodo è Nameless and friendless di Emily Mary Osborn del 1857.

Emily Mary Osborn, Nameless and friendless, 1857. Riprodotto in Art Journal, 1864.

Riguardo questa illustrazione si è scritto molto e per molto tempo; illustra le difficoltà tipiche con cui si deve fronteggiare un’artista nella metà del XIX secolo, infatti si vede una donna che si reca da un mercante d’arte per presentare una sua tela e viene guardata con stupore e disprezzo dagli uomini presenti. Sta mettendo in gioco la propria dignità in quanto donna e come pittrice, dovendosi per forza rapportare con il sesso maschile per poter emergere, ma questi sono poco, se non per nulla, inclini ad accettare una donna come proprio pari nel mondo artistico.

Per fortuna invece, la carriera di Emily Mary Osborn sarà ben diversa da quella da lei descritta, ed è inoltre tra le firmatarie della petizione per far accedere le studentesse ai corsi della Royal Academy.

La sua illustrazione è una fonte imprescindibile su quale fosse la normalità in quegli anni per una donna che cercava di affacciarsi al campo artistico.

La donna infatti, intorno alla metà dell’Ottocento, trascorreva quasi interamente il proprio tempo all’interno della propria casa, e se voleva realizzare delle opere d’arte queste erano esclusivamente ad acquarello, ritenuto il materiale più “delicato” e adatto ad una donna. A causa del fatto che il tempo trascorso era quello in abitazione, la totalità dei soggetti da loro raffigurati erano interni.

Per loro l’arte era esclusivamente un passatempo, da concedersi in casa come svago, nei momenti in cui non si dovevano dedicare alla cura della casa e ai figli, e senza pretese artistiche di alto livello. Infatti, non era loro consentito studiare in apposite accademie, che spesso erano quasi solo aperte al sesso maschile. Sono questi i primi anni in cui iniziano ad essere firmate, come abbiamo prima citato, petizioni al fine di ammettere studentesse in corsi accademici, che più avanti porteranno iniziali risultati.

Spesso, se queste donne appartenevano alla ricca borghesia, le possibilità di emergere erano davvero poche, erano paradossalmente più agevolate quelle più povere perché, per la necessità di guadagno, potevano svolgere lavori di tipologia artigianale, come ad esempio la ceramica, ed in questo modo riuscivano quindi a soddisfare la loro passione artistica.

Silvestro Lega, la pittrice, 1869, collezione privata di Montecatini.

Ciò che poteva salvare queste donne dall’oblio e permettere loro di studiare come artiste, era avere un padre artista, oppure sposare un artista. Loro avevano il vantaggio di poter accedere ad una formazione di buon livello, ma spesso questa era più vicina ad una tipologia artigianale.

E’ il caso ad esempio di Ernesta Legnani che sposa Giuseppe Bisi, pittore paesaggista e suo professore. Lei ha la possibilità di essere artista ed esegue principalmente ritratti sia ad incisione che ad acquarello.

Oltre a ciò, è possibile considerare come le donne, che riuscivano ad entrare nel mondo artistico come artiste, venivano raffigurate; Inizialmente, venivano rappresentate davanti al quadro non come creatrici dell’opera, ma come modelle, spesso in abiti sontuosi e ricchi di sfarzo, per niente consoni a quella che era la realtà di una donna artista che doveva essere comoda durante il lavoro.

Abbiamo un interessante esempio nella serie di dipinti realizzati da Edouard Manet di Berthe Morisot, che aveva sposato il fratello di Edouard, Eugene. Nell’illustrare la cognata pittrice però, non la raffigura come tale ma come modella, come fa anche nel ritratto della figlia di Emmanuel Gonzales, sua allieva. La giovane ragazza è seduta davanti al quadro che sta realizzando ma che non guarda neppure, già incorniciato, e indossa una vaporosa veste.

Édouard Manet, ritratto di Eva Gonzalès, 1870, National Gallery di Londra.

Donna simbolo della volontà di imporsi nel capo artistico è Rosa Bonheur, che nel corso del tempo fu così mitizzata da ispirare addirittura una serie di bambole a sua immagine.

La sua figura fu di così grande rilevanza e ispirazione perché fu colei che contraddisse parecchi stereotipi relativi alle artiste; per prima cosa lei dipingeva ad olio e si dedicava esclusivamente a soggetti animali, riscuotendo un grande successo, tanto che, tra il 1848 e il 1859, divenne direttrice dell’ Ecole Gratuite de Dessin pour le Jeunes Filles. Destò particolare scalpore in quanto preferiva vestirsi da uomo e per farlo ebbe dal 1857 il permesso della polizia parigina.

Rosa Bonheur fu, per molto tempo, il bersagli preferito di vignettisti e caricaturisti, che accentuavano i suoi aspetti più maschili e i suoi tratti anticonvenzionali.

Venne invece dipinta in modo ben realistico da Anna Klumpke, che fu compagna nella vita della Bonheur; la mostra in abiti maschili e comodi da lavoro, mentre regge un pennello e un foglio, così da immortalare il suo essere pittrice.

Anna Klumpke, ritratto di Rosa Bonheur, 1898, Metropolitan Museum di New York.

L’affermazione di donne come artiste professioniste si lega, in questi anni, oltre nell’assumere atteggiamenti e modi di vestire maschili, addirittura nel cambiare il proprio nome in uno da uomo, come nel caso della nobildonna svizzera Adele d’Affry, duchessa di Castiglione, che decide di utilizzare lo pseudonimo Marcello.

Come prima accennato, le difficoltà dell’emergere delle donne artiste inizia a dipanarsi intorno alla fine dell’Ottocento. Già nel 1859, Barbara Bodichon firmò la petizione per l’ingresso delle donne nella Royal Academy, ma si dovrà aspettare il 1893 per ottenere una prima conquista, ossia il loro ingresso, ma i modelli rimangono coperti.

Per quanto riguarda l’Italia, la prima collettiva di sole donne, la Beatrice, si tenne a Firenze nel 1890.

Alle soglie del Novecento, ormai le accademie erano accessibili alle donne, che ormai si imponevano anche sul fronte dell’avanguardia; proprio per questo, ormai le accademie erano per loro vuote di senso e importanza.


FONTI
saggio di Barbara Casavecchia, senza nome, la difficile ascesa della donna artista, dal testo a cura di Antonello Negri, arte e artisti nella modernità, Jaca Book, 2000


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