Animali in casa: quando quelli domestici non bastano più

La moda animalier e la pelliccia evergreen tornano alla ribalta ancora una volta nella stagione autunno-inverno 2017/2018, ma in un formato tutto nuovo: meno vero e autentico, ma più ecologico, sintetico e soprattutto rispettoso nei confronti del mondo e della vita animale. La bellezza naturale del pelo animale continua a rivendicare la sua influenza come considerabile fonte di ispirazione di grandi stilisti e brand del settore della moda, ma anche dell’ambito dell’interior design. Le stampe animali sono un item estremamente popolare e contro ogni aspettativa – e forse pregiudizio – un ottimo ingrediente nella realizzazione di uno stile essenziale e minimalista. Lo scetticismo è ben accettato e più che giustificato: l’immaginazione non può che restituirci un’anteprima tutt’altro che elegante e di buon gusto, piuttosto la fotografia di una casa di bracconieri con teste di renne alle pareti e tappeti in pelliccia d’orso sul parquet. È legittimo domandarsi, come e quando è diventato chic mettere la pelle di mucca nel proprio soggiorno?

Un po’ di storia

Nel tentativo di definire una periodizzazione del cosiddetto animal furniture (“mobilio di animali”) si individua la fonte di notizie più attendibili nell’omonimo articolo di William G. Fiztgerald, pubblicato sulla rivista mensile The Strand Magazine nel 1986. Il fenomeno sembra guadagnare popolarità negli anni Sessanta dell’Ottocento, quindi in epoca Vittoriana, come risultato e conseguenza di un trend precedente: la moda diffusa tra la popolazione femminile di indossare galli e fagiani e ancora, dall’India, di portare gioielli creati a partire da artigli di tigri o di orsi. L’animal furniture, cioè la trasformazione di animali morti in mobilio, è solo successiva. Il fulcro dell’articolo è la collezione di fotografie allegate, che restituiscono alcuni dei mobili più stravaganti e ricchi di dettagli dell’epoca: la realisticità delle poltrone di cucciolo di giraffa e del giovane esemplare di elefante srilankese sono prova di un impegnativo lavoro manuale e insieme testimonianza di grandi sacrifici dimenticati, oltre che della insensibilità umana. Ancora più assurdi sono il raccoglitore di liquori derivato dalla zampa di elefante o il becco di pellicano come portalettere.

Poltrona Giraffa

Tassidermia come arte

Tra le pratiche preferite non possiamo dimenticare la tassidermia, la tecnica rivolta a preservare gli animali morti, trattandone la pelle con sostanze conservative e imbottendo quindi il fisico disponendolo di armatura per conferire al corpo deceduto l’aspetto e la postura di quando era in vita. La tassidermia conosce il suo periodo d’oro nell’epoca vittoriana, stimolato dalla Great Exhibition di Londra del 1851: la stessa regina Vittoria diventa proprietaria di una immensa collezione di uccelli impagliati. La tassidermia è una pratica estremamente discussa e controversa, soggetto di critiche spietate da parte delle associazioni animaliste per la tutela degli animali; d’altra parte, però, è anche veicolo di arte: la rogue taxidermy, un genere di arte pop-surreale che combina materiali tassidermici nella creazione di soggetti non convenzionali, creature magiche che superano i confini della realtà. Nell’articolo per il giornale inglese The Guardian, Kim Kelly descrive la sua esperienza sotto le indicazioni della professionista Divya Anantharaman, la quale si impegna in un approccio più umano possibile nei confronti dell’animale deceduto.

“Ethics are individual, and I have yet to meet a taxidermist that enjoys cruelty or harming animals. Today taxidermists rarely advocate for killing something for the sole sake of art. For those that do – all I can say is live and let live. Personally, I prefer working with animals that died of unavoidable circumstances like old age or untreatable illness. Thoughtful sourcing is the opposite of cruel.”

“L’etica è individuale e non ho ancora avuto l’occasione di incontrare un tassidermico che gioisce della crudeltà o nel ferire gli animali. Oggi i tassidermici raramente difendono l’atto di uccidere qualcosa per il solo interesse dell’arte. Per chi invece lo fa – tutto ciò che posso dire è vivi e lascia vivere. Personalmente io preferisco lavorare con animali che sono morti per circostanze inevitabili come la vecchiaia o malattie incurabili. Una ricerca ponderata è l’opposto di crudele.”

 

 

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