Ipazia d’Alessandria, martire del pensiero libero

Fu l’“ultimo fiore meraviglioso della gentilezza e della scienza ellenica” (Pascal, Pensieri). Nata a Alessandria d’Egitto attorno al 370 d.C., quando già la celebre biblioteca della città era stata distrutta, Ipazia fu astronoma, matematica e filosofa neoplatonica, nonché la madre dell’astrolabio, dell’idroscopio e dell’aerometro.

Sulle orme del padre Teone, fu a capo della Scuola alessandrina e “accorrevano da lei, da ogni parte, tutti coloro che desideravano pensare in modo filosofico” (Socrate Scolastico, Storia Ecclesiastica VII). Tra questi anche il futuro vescovo Sinesio di Cirene, che fu sempre molto legato alla maestra: le sue lettere sono una fonte importante per la ricostruzione della vita e della carriera di Ipazia, della quale non ci sono pervenuti scritti.

Purtroppo la studiosa visse all’epoca della piena affermazione della Chiesa entro l’Impero romano, ottenendo da questo gli strumenti per eliminare il paganesimo. Con l’Editto di Tessalonica (380 d.C.) il Cristianesimo veniva riconosciuto religione di stato e nel 391-392 Teodosio I emanò specifiche direttive antipagane. Esse vennero rigidamente applicate ad Alessandria per volere del vescovo Teofilo che, similmente a quanto era avvenuto per il Cesareo, ottenne che anche il tempio di Dionisio venisse riconvertito in chiesa. Violenti scontri sorsero quando da Costantinopoli giunse il via libera per la distruzione del prestigioso Serapeo e la sollecitazione ai nobili locali perché si convertissero.

Ipazia rifiutò per poter perseguire le proprie ricerche in piena liberà. Una libertà di pensiero che le costò la vita. Nonostante l’amicizia con Sinesio, Ipazia non poté sfuggire all’astio di Cirillo, patriarca di Alessandria dal 412, che radicalizzò la politica persecutoria del predecessore. Il vescovo vedeva nel carisma della filosofa un temibile seme di dissidenza religiosa e civile: troppa era la facilità con cui la donna richiamava a sé una folla di uditori pronta a farsi ammaliare dalle sue parole. Proprio alla sua influenza veniva imputata l’ostilità dimostrata dal prefetto Oreste contro Cirillo e i suoi monaci Parabolani, che giunsero anche a aggredire il funzionario romano quando questi espresse la propria indignazione a seguito della cacciata degli ebrei dalla megalopoli egizia.

 

Su mandato del futuro santo Cirillo, proprio questa setta di fanatici nel marzo del 415 d.C. fu responsabile dell’assassinio della prima donna matematica della storia: Ipazia venne aggredita mentre rincasava da un gruppo di uomini “dall’animo surriscaldato, guidati da un predicatore di nome Pietro” (Socrate Scolastico). Trascinata fuori dal suo carro, venne condotta al Cesareo dove, denudata, le vennero cavati gli occhi e fu fatta a pezzi con dei cocci. I brandelli del suo corpo vennero dati alle fiamme nel Cinerone, perché di lei non restasse più alcuna traccia.

 

All’inizio del terzo millennio l’UNESCO ha intitolato a Ipazia un progetto mirante a costituire una rete internazionale di donne scienziate facente capo alla sede di Torino, così che il progresso scientifico possa avvenire nel rispetto della parità dei sessi e dell’interculturalità.

 

 

 


Fonti:

Petta, A. & Colavito, A. (2009) Ipazia. Vita e sogni di una scienziata del IV secolo, Roma, La Lepre Edizioni

L’assassinio di Ipazia, 1600 anni fa

Ipazia intellettuale vittima del fanatismo cristiano

Pioniere. Ipazia, per amore del cosmo

Credits:

Scuola di Atene  (Nel celebre affresco La Scuola di Atene, Raffaello inserisce un solo personaggio femminile, che poi è l’unico che rivolge al pubblico lo sguardo).

Ritratto di Ipazia realizzato nel 1908 da Jules Maurice Gaspard

Cirillo, patriarca di Alessandria, canonizzato santo nel 1882

Ipazia, dipinto di C.W. Mitchell del 1885 in cui si raffigura la studiosa negli istanti precedenti la morte in una chiesa cristiana.

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