Carla Accardi e l’arte plastica al femminile

Carla Accardi non aveva considerato la plastica. Iniziò a valutarla soltanto quando la sua fama aveva raggiunto l’apice, quando dopo parecchi tentativi venne notata da Michel Tapié e tutto prese una nuova forma; fu proprio il critico che avvenne il consolidamento della sua fama, egli la inserì anche tra i protagonisti della sua teorizzazione dell’art autre insieme a Burri, Capogrossi e Fontana.

Scomparsa il 23 febbraio 2014, è bello ricordare la carismatica artista siciliana così come molte fotografie la immortalano: una donna capace di sorridere alla vita, grintosa, emotiva, misteriosa e alla persistente ricerca e scoperta di sé. Bisognerebbe tener presente questi aspetti dinnanzi ad una sua fotografia, o una sua qualunque opera. Occorrerebbe rammentare la delicata trasparenza di questa donna che ha saputo crearsi un importante spazio in quell’universo, da lei con forza contestato, in cui “l’arte è sempre stata il reame dell’uomo”.

Fotografia di Carla Accardi

Carla Accardi, trapanese di nascita, frequenta l’Accademia di Belle Arti di Palermo, dove nel 1944 conosce Antonio Sanfilippo con cui, successivamente, frequenta per alcuni mesi l’Accademia di Belle Arti a Firenze e poi si trasferisce a Roma dove conosce Pietro Consagra e Giulio Turcato.

Nel 1947 realizza il suo primo dipinto astratto intitolato “Scomposizione”. Nel marzo dello stesso anno dà vita al Gruppo Forma composto da Attardi, Consagra, Dorazio, Guerrini, Perilli, Sanfilippo e Turcato, da cui nasce “Forma 1” il primo e unico numero della rivista-manifesto. Nel 1948 prende parte per la prima volta alla XXIV Biennale di Venezia e alla mostra “Arte astratta in Italia” alla Galleria di Roma. L’anno successivo sposa Antonio Sanfilippo. Nel 1950 ha le prime personali di Firenze, dove è presentata da Turcato. Tra la fine degli anni Quaranta e l’inizio dei Cinquanta Carla Accardi partecipa alle principali rassegne del giovane astrattismo italiano promosse in Italia dall’Art Club. Il suo lavoro si sviluppa fino al ’52 nell’ambito della pittura concretista, conosciuta e assimilata in particolare a Parigi. Nelle opere del ’53 si nota un cambiamento nella ricerca fondata sulla poetica del segno, che insegue un’idea di ‘figura’ per svilupparsi poi, negli anni a seguire, in insiemi di segmenti articolati dall’alternanza del bianco e del nero, ai quali s’aggiungerà di sovente il rosso.

Carla Accardi, Frammenti su bianco, 1955

Con le personali di Torino e Milano del ’59 conferma il proprio ruolo preminente nella situazione internazionale della pittura segnica. Gli anni Sessanta registrano notevoli cambiamenti stilistici: riappare un colore dai toni molto più vivi e variati e il segno cambia struttura.

Carla Accardi, Moltiplicazione vedreargento 1962

“Desideravo che le persone non fossero così bloccate davanti all’opera, mi sembrava una posizione troppo automatica, volevo che il pubblico si scuotesse, amando l’Arte, scoprendo che dietro c’era la vita. Capendo che si poteva unire la vita come avevano fatto già in altre epoche, ma principalmente perché volevo essere contemporanea del mio secolo, della mia epoca. Volevo scoprire cosa fosse la contemporaneità veramente”.

L’attrazione verso la plastica comincia nell’estate del ’64 quando sviluppa la sua prima idea di creare una superficie svincolata, almeno temporaneamente, dal supporto rigido. L’incontro casuale con il sicofoil, un materiale plastico trasparente usato per la prima volta in campo artistico e la messa a punto di una tecnica pittorica idonea (luminosa e aderente alla materia trasparente), avrebbero portato nel corso del 1965 alle prime plastiche e di un primo provvisorio – ma mai esclusivo – abbandono della parete a favore di oggetti, come i “Rotoli” e i “Coni”, capaci di occupare lo spazio tridimensionale senza rinnegare il carattere pittorico.

Carla Accardi, Rotoli, 1965

L’opera emblema della rivoluzione plastica dell’Accardi, è senz’altro la “Tenda”, che ha richiesto un maggior sforzo progettuale in quanto, diversamente dai Rotoli, viene pensata nei termini di una articolazione nello spazio.

L’Accardi disegna su fogli di sicofoil stesi per terra usando due colori aventi la stessa forza, il verde e il rosso, che dividono da un punto di vista ottico l’interno dall’esterno. I due strati si differenziano anche per i segni, diversi per orientamento, disposizione e ritmo del loro ripetersi sulla superficie trasparente.

Carla Accardi, Tenda, 1965-66, vernice su sicofoil

“La tenda all’inizio voleva essere soltanto un gioco, un gioco dei miei segni sospesi nello spazio; è soltanto dopo, mentre la facevo, che mi si sono create tante altre suggestioni come contorno. […] La Tenda non è un oggetto, perché se avessi voluto fare un oggetto avrei dovuto farne uno un po’ curioso, un po’ inventato; no, per me la Tenda è una cosa ovvia, l’ho pensata come una estensione della pittura”.

A seguito di una lunga conversazione con Carla Lonzi, viene svelata la vera fonte dell’opera, pubblicata sulla rivista Autoritratto:

“L’idea della tenda è stata sollecita da un pensiero, che mi era venuto, quando mi hai mostrato quelle immagini delle tende turche del Museo di Cracovia. Mi ha suggestionato l’idea che quelle tende, così belle, i turchi se le portavano nei loro viaggi e guerre per piantarsele poi, in momenti che io immaginavo molto difficoltosi. Mi è sembrato un atto estetico puro”.

Nelle parole dell’Accardi la tenda turca evoca la volontà di non rinunciare in circostanze disagiate alla qualità e alla magnificenza di certi manufatti, appare “un atto estetico puro” associato al fascino di una vita libera incarnata nel nomadismo.

La Tenda è “veramente come un pensiero” e come tale evoca un processo di smaterializzazione e di alleggerimento consapevolmente messo in atto come esito di un percorso anche interiore che trova la sua sintesi in una frase rivelatrice dell’Accardi: “Arrivare a togliere, togliere, togliere mi pare un segno della maturità, una parte molto raffinata della maturità”. L’Accardi poi prosegue dicendo che la Tenda è anche ricondotta ad un gesto che si è voluto compiere trovandone il tempo. Quindi è diventata parte della quotidianità dell’artista, una quotidianità spogliata di ogni enfasi ed in questo modo la ricerca dell’opera è sia vissuta che oggettivata dall’artista stessa.

Scavando sempre più nella genesi dell’opera che ha condotto l’artista a giungere alla sua progettazione e realizzazione, si giunge ad una riflessione sulla fenomenologia femminile. Carla Accardi confessa che quando ha iniziato a dipingere le sembrava necessario fare questo esperimento per dimostrare che la donna aveva le stesse possibilità creative dell’uomo. Ed è così che si viene a scoprire che la Tenda viene iscritta fin da subito in un percorso di autodeterminazione femminile.


FONTI

Archivio Accardi-Sanfilippo

L’uomo nero n.13. Materiali per una storia delle arti della modernità, 2016

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