Il tempo che scorre e si ferma nell’arte Parte II

Parliamo ancora di tempo, di questa enigmatica costante che nella sua incontenibile sfuggevolezza trova il modo di scorrere e, anche solo apparentemente, di concludersi. Questa volta cerchiamo di considerare questi due aspetti, compenetranti e opposti, partendo dall’analisi di una porzione temporale limitata: il tempo di una singola giornata.

Una giornata comincia, si evolve, prosegue ed infine si conclude e solo a questo punto il tutto ricomincia nuovamente, ma una qualunque giornata non è mai simile ad un’altra. Quindi cerchiamo di concentrarci sull’unicità che la caratterizza e prima di far ciò chiediamoci quale sia quell’indispensabile dato che consente di dar vita ad una simile ‘parabola organica’, ciò che le dona la nascita, la scorrevolezza ed il punto di non ritorno: ovviamente, la luce. Chi vi viene subito in mente? Chi ha voluto intrappolare nelle sue tele i diversi fenomeni luministici, andando così a testimoniare ed allo stesso tempo immortalare la metamorfosi e l’incessante fluire del tempo? Eccovi degli indizi: era un uomo con una barba bianca e lunga, abbastanza grassottello e che adorava indossare il cappello, chi è? Non confondetelo con Babbo Natale, stiamo parlando del più penetrante pittore impressionista, Claude Monet.

Fotografia di Claude Monet

Il nome di Claude Monet (1840-1926) è intimamente legato alle sorti dell’Impressionismo, alla sua formazione, al suo sviluppo e alle sue conclusioni. Il movimento impressionista porta avanti le gloriose ricerche del naturalismo ottocentesco e inaugura la stagione dell’arte moderna. È Monet, che più di ogni altro, contribuisce al sorgere di questo clima artistico e di questa nuova convenzione rappresentativa: da quel momento la realtà rivela un inedito volto (prima neanche immaginato) fresco, arioso e luminoso, i cui colori splendono in tutta la loro solarità e la natura trova il suo palpito vitale vibrando gioiosa nell’atmosfera mutevole e fluttuante.

Monet, La Seine à coté du Giverny, 1885

È accaduto spesso nella pittura, che artisti che avevano sviluppato un grande senso di osservazione, ponessero la loro attenzione su fenomeni naturali, in particolare quelli legati alla luce e alla percezione, e si mettessero a studiarli in anticipo rispetto agli scienziati. Monet, tra i pittori impressionisti, fu forse quello che meno si interessò allo studio diretto di teorie scientifiche sul colore. Il suo interesse principale era registrare sulla tela i molteplici fenomeni della luce, il modo in cui le cose intorno, con il cambiare dell’illuminazione, mutano il loro aspetto. Per far questo sperimentò diversi modi di lavorare.

Il suo intento era ritrarre la natura nelle sue variazioni e per far ciò inventò un modo di dipingere a pennellate rapide, la cosiddetta tache impressionista, che gli permetteva di completare un quadro in pochissimo tempo.

Monet, La Seine à Vétheuil, 1879

Risulta quindi chiara la motivazione per cui Monet gareggiava contro il tempo, volendo mantenere il suo stesso passo per cogliere quel preciso attimo, quella precisa situazione, atmosfera e luce che appariva ai suoi occhi unica e irrappresentabile.

Sebbene tale “sfida” sia abbastanza riscontrabile in qualunque dipinto en plein air, è nelle pitture in serie in cui essa è ancora più palese. Già dalla fine del ‘800 Monet si dedica alla produzione ‘in serie’, non realizzando più dipinti singoli, ma quadri pensati come unità organiche, tenuti insieme da continue corrispondenze. Monet manifesta una volontà di legare i dipinti uno con l’altro e ciò lo porta ad approfondire in maniera ancora più sistematica la sua indagine luministica. Si diverte dunque a realizzare cicli di opere dedicate allo stesso soggetto su cui ritorna in differenti stagioni, ma anche in diverse ore del giorno, sempre studiando condizioni atmosferiche e di luce ogni volta diverse, ed è proprio quest’ultimo il caso su cui finalmente ci concentriamo: la serie dedicata alla Cattedrale di Rouen, composta da più di cinquanta tele realizzate tra il 1892 e il 1894.

Monet sceglie come nuovo soggetto la bellissima e tardogotica cattedrale della città di Rouen, che osserva da due appartamenti diversi per studiare al meglio le diverse situazioni in cui è percorsa dalla luce solare (all’alba, a mezzogiorno, al tramonto eccetera), a seconda delle condizioni atmosferiche il tutto da valutare assieme alle diverse angolazioni con cui è vista (più frontalmente o più di scorcio). Gli infiniti cambiamenti di luce, registrati attraverso un’ampia gamma cromatica, fanno apparire la facciata dell’edificio come una superficie talvolta luminosa, a volte cupa ed altre addirittura spettrale.

Monet, La Cattedrale di Rouen, il portale e la torre di San Romano, effetto mattutino, armonia bianca
Monet, La Cattedrale di Rouen, il portale e la torre di San Romano, pieno sole, armonia blu e oro

Vediamo quindi che ancora una volta Monet gioca col tempo, osserva tutto quel che muta mentre esso fluisce ed inoltre ha modo di immortalare la sua apparente ciclicità, quella ciclicità che influenza il nostro modo di vivere e la nostra quotidianità. Si veda, come esempi chiarificatori, la cattedrale diafana caratterizzata da un’armonia bianca, la cui luce è nata dalla fusione del primo sole con la tonalità sorda della pietra della chiesa stessa, che smorza il bagliore dell’alba e lo riflette nell’aria tersa che appare assai diversa dalla cattedrale catturata in pieno sole che evidenzia invece un grado di luminosità, e dunque di contrasto, più elevato.

Qual è il vero obiettivo dell’artista? Monet voleva catturare gli svariati mutamenti cromatici, per giungere a quella che chiamava “istantaneità”, ossia quel velo di luce colorata che, per un breve spazio di tempo, costituisce l’elemento che unifica tutto quel che l’occhio percepisce in modo da restituire l’impressione vera di un aspetto naturale e non di un dipinto composito.

In conclusione possiamo affermare che l’accorto Monet, con le sue tele, non fa altro che rendere il tempo visibile.


FONTI

Studio da parte dell’autrice

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