La biografia aneddotica di Plutarco: Vite Parallele.

Se si cerca su Wikipedia la definizione di biografia, si trova la frase seguente: “è un testo che contiene la ricostruzione complessiva della vita di una persona, scritto in forma narrativa o di saggio. Quando proviene dallo stesso soggetto, si ha una autobiografia“. Si sa, tuttavia, che una biografia può essere romanzata. In antichità, il famoso biografo greco Plutarco, nelle sue “Vite Parallele“, fatte di ventidue coppie di persone, indagava particolarità e aneddoti dei suoi soggetti. Il paragone veniva sempre fatto tra un uomo greco e un romano (fatta eccezione per Arato e Artaserse) e si basava sull’analisi di vizi e virtù di uno e dell’altro. Non c’era un particolare interesse per i dati e per il loro ruolo nella storia, ma per il carattere di ognuno di loro, e come questo potesse star dietro alle decisioni di ognuno di loro. In sostanza, a Plutarco interessava la psicologia dei suoi soggetti. Il paragone tra le due civiltà viene dalla profonda convinzione dell’autore che la storia romana fosse una ripetizione di quella ellenistica, data la sua concezione particolare del Caso: le possibilità di quest’ultimo non sono infinite, anche se innumerevoli. Plutarco non distorse i fatti, ma li interpretò proprio alla luce della sua etica e della sua morale, e la sua originalità fu anche in questo.

Io non scrivo un’opera di storia, ma delle vite; ora, noi ritroviamo una manifestazione delle virtù e dei vizi degli uomini non soltanto nelle loro azioni più appariscenti: spesso un breve fatto, una frase, uno scherzo, rivelano il carattere di un individuo più di quanto non facciano battaglie ove caddero diecimila morti

Nonostante ciò, Plutarco era profondamente contrario alla superstizione, dunque preferì sempre fornire una spiegazione razionale laddove fosse possibile. La sua, è una storiografia aneddotica, in cui dal piccolo evento apparentemente insignificante si può arrivare a dare una spiegazione ai grandi avvenimenti nella storia. Il confronto più famoso è sicuramente quello sulle vite di Alessandro Magno e Giulio Cesare. Plutarco li mise in relazione per le loro grandi imprese belliche e politiche, dicendo che il secondo prese come modello il primo, ma che si rammaricava per non essere riuscito ad imitarlo nella grandezza. Di Alessandro evidenziò l’aneddoto che lo voleva figlio di Zeus e dunque destinato a conquiste gloriose, e il suo legame con la madre. Al contrario, la biografia di Cesare è fatta di aneddoti che testimoniano la sua umanità, spesso tragica in quanto lo portò sì alla gloria, ma anche a una tremenda solitudine. Plutarco ammirava l’etica cesariana: riportò un fatto accaduto durante un viaggio in cui per una notte Cesare e i suoi furono costretti a dormire in una casa con una sola stanza, ma il condottiero lasciò comunque dormire nel letto il padrone di casa. La sua patientia e generosità erano ammirate da tutti i suoi sottoposti.

“I molti successi che aveva conseguito […] gli fecero concepire disegni ancora maggiori, suscitarono in lui una brama di gloria nuova, come se quella di cui godeva si fosse già logorata. Null’altro era, questa passione, se non gelosia, che nutriva verso sé stesso come verso un estraneo, una sorta di rivalità che esisteva in lui tra ciò che aveva e ciò che avrebbe fatto”

Nonostante l’ammirazione, Plutarco non mancò di dare ad ognuno dei suoi soggetti i vizi, per amore di obiettività e imparzialità, facendone motivo di fierezza. Comunque, l’opera è a metà tra il verosimile poetico e la storiografia. Il romanzato, l’aneddoto, è in grado di scaturire un pathos particolare e un coinvolgimento non comune. Una concezione della biografia tutta particolare, più vicina al romanzo storico che al reportage storiografico. Indubbiamente, Plutarco ha reso la vita degli storici a lui successivi decisamente più semplice, essendo molto preciso per quanto riguardava le informazioni su dati e date inserite nella sua opera.

 


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