“Io e lui”: da un racconto di Natalia Ginzburg.

Io sorrido sempre: lui mai. Ho i piedi ghiacciati, le mani ghiacciate, in estate, in inverno, persino le punte delle orecchie sono ghiacciate. Lui è bollente, sempre. Gira a maniche corte, le magliette a righe e i calzini colorati. Io in casa ho sempre due maglioni, una coperta e le pantofole di pile. Io sono in grado di fare duemila cose durante la giornata, di pensarne cinquemila e programmarne altrettante. Lui vive: se la quotidianità sta al suo passo bene, altrimenti la lascia indietro. Peggio per lei. Ho giocato a pallavolo, a beach volley, ho fatto equitazione, kick boxing, vado in palestra; lui è scoordinato, pigro e quando fa sport va in iperventilazione.

Io fumo. Dopo cena mi accendo una sigaretta e mi sento subito meglio; gli chiedo di fare un tiro, di provare, non riesco a concepire come riesca a negarsi un tale piacere. Mi dà fastidio l’odore, lo sai. Mi fa schifo. Non cede mai. Io ho un rapporto malsano, malato e pieno di pregiudizi con la mia pancia, che mi obbliga a essere estremamente sensibile, emotiva, piena di ombre; ma ho imparato a gestire la mia emotività, i miei piccoli dolori: li conosco, so cosa significano e so interpretarli. Conosco la mia pancia. Lui lavora con la testa, è un concentrato di razionalità e quando, per caso, si scontra con la sua pancia, crolla tra le mie braccia. Io sono ipocondriaca, ho paura della febbre, del raffreddore, mi misuro la temperatura quasi ogni mattina; le sue paure sono irrazionali, meravigliosamente astratte. Io non mi ammalo mai realmente, ma sento i sintomi di qualsiasi malattia. Lui non si ammala e basta. Io sono piccola, esile, le gambe sottili e la vita stretta; lui è grande, possente, le spalle larghe e un po’ di pancetta.

Io ho i capelli riccissimi e lui adora toccarli: passa i pomeriggi a far scivolare le sue dita tra le mie ciocche. Io lo detesto, lui non lo sa ma una volta sono dovuta ricorrere alle forbici. Ma non lo capisce, non potrebbe capirlo: ha i capelli lisci. Doppi, neri, scuri, ordinati, immobili.

Io non sopporto il freddo. Divento insofferente, comincio a stringermi nei vestiti, cerco di rendermi ancora più piccola per non permettere a quello spiraglio di vento di raggiungermi. Lui mi dà il suo maglione, rimane in camicia e si guarda intorno; dice che il freddo lo rinvigorisce. Io studio e ripeto, ripeto e poi riprendo a studiare, faccio gli schemi, sottolineo, ripasso a mente in ogni momento, uso cinque evidenziatori diversi, due penne e tre pennarelli. A lui basta una matita: quando studia è silenzioso e concentrato, nulla lo disturba, è preso dai suoi pensieri. Io non sopporto il rumore, pretendo il silenzio assoluto. Lui accende la musica. Io adoro la musica, conosco la musica. Lui no. Non è la mia arte, dice. Mi ha promesso di ascoltare qualche gruppo che gli ho consigliato: non lo farà.

Lui ha gli occhi azzurri, chiari, celesti, blu come il cielo. Quando guarda la luce le sue pupille si dilatano e quando guarda me abbassa gli angoli, le sopracciglia e tutto il suo volto diventa un concentrato di dolcezza e di amore. Io ho gli occhi castano scuro, quasi neri, pronti a cogliere ogni minimo dettaglio; dice che lo buco con lo sguardo. In realtà cerco di capirlo.

L’ho capito.

Lui non riesce a confrontarsi con i sentimenti, io provo uno strano piacere nel metterli a nudo e farli uscire fuori. Il risultato è che io sorrido sempre, rido a volte. Lui non ride mai, ma sorride sempre. Eppure, se io sorrido lui sorride. E soprattutto, se lui ride, sistematicamente, come all’improvviso, scoppio a ridere anche io.

Lui mi ama e, per una volta, lo amo anche io.


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