Sanremo e il rap: odi et amo

La sessantottesima edizione del Festival della canzone italiana è ormai alle porte. Sanremo rappresenta una tradizione musicale che in quanto a longevità ha pochi eguali: la sua più grande sfida è conciliare le nuove tendenze nazionalpopolari con i più classici stilemi che la contraddistinguono fin dagli inizi.

In questo articolo si vuole analizzare in particolare il rapporto tra Sanremo e “il nuovo rock”, vale a dire il rap, genere ormai preponderante tra le nuove generazioni e sempre più presente anche nella classifica FIMI (per capirne la portata, basti pensare che otto dei primi venti album più venduti nel 2017 provengono da questo mondo).

Prima di cominciare però, è necessario dare alcuni riferimenti: il rap nacque negli Stati Uniti, in particolare a New York City, come forma d’espressione di alcune fasce della popolazione emarginate, alla fine degli anni Settanta. Sanremo era nato all’incirca trent’anni prima in un continente che allora non si rivolgeva oltre oceano alla ricerca di nuove tendenze artistiche da emulare con l’attuale bramosità. Risulta quindi pacifico che queste realtà non siano venute a confronto per diversi anni.

Il primo contatto tra due mondi così differenti avvenne, in Italia, grazie a Jovanotti nel 1989. Per molti Lorenzo può non centrare col rap, ma ne è stato un fondamentale promotore in tempi non sospetti, sia grazie alla sua influente presenza a Radio DJ, sia per mezzo dei dischi pubblicati fino al 1995, che si inseriscono chiaramente in questo filone. L’accoglienza fu molto fredda, anche se Vasco divenne un pezzo passato in radio e per anni un cult del suo repertorio.

Ritornò nel 2000 con Cancella il debito, senza gareggiare, ma artisticamente fu una mossa che pagò a lungo poiché il testo, impegnato e di denuncia verso la situazione dei paesi sottosviluppati, venne duramente criticato: lui stesso ad oggi la ritiene una delle sue pagine più buie.

Nel 1997 fu la volta di Caparezza nella sezione giovani col nome di Mikimix e il brano E la notte se ne va. Il rapper pugliese parla sempre mal volentieri di quest’esperienza e, anche grazie totale stravolgimento del personaggio che lo ha riguardato nel passaggio tra il vecchio e il nuovo millennio, cerca quasi di convincere gli interlocutori che a Sanremo quell’anno ci andò un’altra persona. Sicuramente, un altro Michele Salvemini.

Spostiamoci all’inizio del XXI secolo, in particolare nel 2001, nell’edizione condotta da Raffaella Carrà.

Il rap in Italia aveva iniziato ad attirare le attenzioni dei media da poco meno di dieci anni e proprio una delle band che maggiormente si era distinta partecipò tra i big: stiamo parlano dei Sottotono, un duo formato dal rapper Tormento e del dj Big Fish. Dopo successi quali Solo lei ha quel che voglio e Coccinella, essi portarono al festival il brano Mezze Verità e ottennero soltanto la quattordicesima posizione, ma furono altri i motivi per cui salirono agli onori della cronaca: da un lato Striscia La Notizia li accusò di avere plagiato il brano Bye Bye dei ‘N Sync, dall’altro la stessa direzione artistica chiese che il testo fosse cambiato per via del linguaggio troppo scurrile.

Per tutta risposta Tormento decise di lasciare tronche le strofe incriminate, facendo facilmente intuire agli ascoltatori che si stesse trattando di censura. Il caso volle che proprio l’apice della loro carriera corrispose anche con la fine del sodalizio: i due presero strade diverse e soltanto Big Fish fu capace di reinventarsi ad alti livelli, collaborando con alcuni dei più grossi nomi della scena ad album quali Tradimento (Fabri Fibra 2006) e L’erba Cattiva (Emis Killa 2012).

Sempre nel 2001 Sanremo fu in grado di avere sul palco uno dei più grandi rapper della storia, Eminem, chiamato sulla scia del successo di Slim Shady LP 1999 e Marshall Mathers LP 2000. L’esibizione, con la crew D12 al seguito fu impeccabile, anche se restano i dubbi su quanti all’epoca fossero davvero consapevoli della portata di un simile ospite. Dal video di quella performance è infatti percepibile l’atmosfera di smarrimento e incomprensione che pervase l’Ariston, soprattutto nel momento del dito medio davanti alle telecamere. Inoltre, fuori dal teatro ci furono numerose proteste da parte dell’arcigay a causa di alcuni suoi testi omofobi. Ad oggi, rimane l’unica apparizione del rapper di Detroit in Italia, in attesa del 7 luglio 2018, quando per la prima volta un suo tour arriverà nel Bel Paese, più precisamente a Milano.

Dopo una breve apparizione di Bassi Maestro insieme a Syria, con il brano L’amore è nel 2003, l’anno successivo un altro dei grandi nomi degli anni ’90 fece il suo debutto al Festival condotto da Simona Ventura: si trattava di Neffa, ex membro dei Sangue Misto, con il brano Le ore piccole. In questo caso va specificato che il campano, formatosi come rapper nella zona bolognese, aveva già iniziato un percorso artistico verso sonorità più soul e non solo funky, caratterizzato da molto più “cantato” causa di molti lamenti e incomprensioni da parte dei primi fan. In compenso, attirò le attenzioni di un nuovo pubblico grazie a grandi successi quali La mia signorina e Prima di andare via: a Sanremo non andò benissimo classificandosi nono, ci riprovò nel 2016 con Sogni e nostalgia ma andò addirittura peggio e fu subito eliminato. Sempre nel 2004 ci fu la partecipazione di Piotta, proveniente dalla scena romana, con Ladro di te.

Appartenente alla “vecchia scuola” è anche Frankie Hi-Nrg, il quale sorprese molti quando annunciò la sua partecipazione all’edizione del 2008 condotta da Pippo Baudo e Piero Chiambretti con Rivoluzione. L’esito non fu tuttavia migliore rispetto ai colleghi che avevano provato prima di lui e la canzone si classificò solo quattordicesima. Il torinese ritentò nel 2014 con Un uomo e vivo e Pedala (in quell’edizione ciascun concorrente doveva portare due brani, di cui solo uno sarebbe stato riproposto a partire dalla seconda serata); il secondo ebbe un discreto successo radiofonico, mentre nella manifestazione arrivò ottavo.

Coloro che da sempre avevano strizzato l’occhio alle sonorità melodiche e che perciò destarono meno stupore al Sanremo di Paolo Bonolis nel 2009, furono invece i Gemelli DiVersi. Grido (fratello di J-Ax), Strano, Thema e THG (adesso famoso produttore multi-platino insieme a Ketra dei Boomdabash) proposero quella che a mio parere è la più bella canzone hip-hop che sia mai stata presente al Festival, dal titolo Vivi Per Un Miracolo. Anche loro tuttavia non riuscirono ad arrivare alla fase finale vinta da Marco Carta e per i quattro ragazzi lombardi iniziò un lento declino che li portò allo scioglimento nel 2013. Membro della stessa storica crew, vale a dire la Spaghetti Funk, Dj Jad fu invitato all’edizione del 2010 da Fabrizio Moro per duettare nel brano Non è una canzone, sebbene per anni, ai tempi degli Articolo 31, avesse ampiamente criticato la kermesse sanremese.

L’anno che cambiò completamente la percezione del pubblico dell’Ariston nei confronti del rap fu il 2014. Il motivo? Un ventenne ragazzo campano che partecipò nella sezione giovani: il suo nome era Rocco Hunt e il pezzo che sarebbe divenuto di lì a poco un enorme successo fu Nu Juorno Buono. Il brano era contenuto nel suo secondo disco A verità, che proprio grazie a quella vetrina ottenne il disco di platino. Arrivato al Festival da completo outsider, conosciuto a malapena dagli appassionati del genere, ma già una solida realtà a Napoli, Rocco attirò i favori di pubblico e critica e fu così proclamato a gran voce vincitore, velocizzando in maniera considerevole la sua ascesa come big della scena rap. Col senno di poi, si può dire che il giovane non abbia saputo confermarsi a determinati livelli, sia in ambito discografico, sia al Sanremo del 2016 ove fu presente con Wake up, arrivando solamente ottavo.

Clementino, Rocco Hunt e Neffa

Suo grande merito fu comunque quello di sdoganare la partecipazione di artisti con un determinato background in un simile ambiente. Fu così che nel 2015, conduttore Carlo Conti, Fedez scrisse il brano di Lorenzo Fragola Siamo Uguali (soltanto decimo, ma un buon successo radiofonico), mentre Nesli, fratello di Fabri Fibra, dopo l’esperienza ad Amici, portò sul palco Buona Fortuna Amore, brano in voga tra le giovani ragazze di quel periodo, le quali evidentemente però non lo votarono abbastanza: per lui un deludente tredicesimo posto. L’anno scorso il meno noto dei Tarducci ci ha riprovato in coppia con Alice Paba, vincitrice di The Voice, ma in quest’occasione il brano Do retta a te non fu nemmeno capace di arrivare alla serata finale.

Sempre l’anno scorso, nell’edizione condotta da Maria De Filippi e Carlo Conti, altri due rapper hanno concorso nella sezione big: Raige, ex membro dei One Mic, storico gruppo di Torino, cantò insieme a Giulia Luzi Togliamoci la voglia, ma anche in questo caso ci fu l’eliminazione dopo una sola sera. D’altra parte, Clementino, freestyler campano classe 1982, fece parlare di sé con il brano Ragazzi Fuori, scritto insieme a Marracash, anche se nella serata finale il risultato fu un misero sedicesimo posto. Iena White, questo il suo soprannome, aveva partecipato anche l’edizione precedente con il riuscitissimo brano Quando sono lontano, che ottenne la settima posizione e un buon successo anche dopo il Festival.

Giunti all’imminente edizione, tra i 20 “campioni” selezionati da Claudio Baglioni quest’anno non sono presenti rapper, ma Ghemon, irpino dalle sonorità piuttosto melodiche, canterà nella serata duetti, avendo accettato l’invito di Diodato e Roy Paci (il brano s’intitola Adesso), sebbene solo 12 mesi fa non si fosse risparmiato in quanto a critiche nei confronti del Festival.

Jad e Moro – 2010

Nell’elencare gli artisti che partendo dall’underground sono riusciti a calcare questo importante palcoscenico, ho volutamente adottato la prospettiva sanremese, per cui la musica, vista come competizione, alla fine viene persino classificata con giudizi non sempre condivisibili (a tal punto che dal 1982 è stato istituito il premio della critica).

È da tempo che la non corrispondenza tra ciò che viene presentato e quello che effettivamente domina il mercato durante l’anno viene posta come una delle questioni più urgenti e centrali nel dibattito intorno al Festival. La chiave credo sia comprendere che ad oggi l’Ariston non sia affatto visto come un punto di arrivo, bensì come compromesso da accettare soltanto quando la propria carriera non riesca ad avere la svolta desiderata: un’ultima spiaggia che non sempre ripaga (o forse penultima, dato che ci sono stati e ci sono ancora cantanti che, pur di tornare alle luci della ribalta, accettano di andare a reality show quali l’Isola dei Famosi).

Anche nel caso dell’hip-hop, i risultati sono finora stati per lo più scadenti da parte degli avventurosi apri pista e di chi è succeduto loro, sia nella classifica della manifestazione, sia in termini di vendite: spesso Sanremo è per loro conciso con un punto di non ritorno, con uno scioglimento nel caso delle band o con la fine della carriera ad alti livelli. Congiuntamente, si son finora ben guardati dal macchiarsi di una simile “onta” (utilizzando il punto di vista dei severi giudici conservatori che popolano il rap game) i maggiori nomi della scena, sebbene gli inviti siano sempre più frequenti visto il loro successo. Mi riferisco ai vari J-Ax, Salmo, Fabri Fibra (che a Sanremo nel 2008 dedicò un pezzo molto sfavorevole), i quali, finché continueranno a vendere la loro musica e fare il tutto esaurito senza l’ausilio di un tale mezzo, non avranno motivi per andare nella città dei fiori se non per una rischiosa serata al Casinò.

 


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