Il labirinto di Pollock dal Minotauro all’Uomo

Jackson Pollock rievoca, attraverso il simbolo del labirinto, il percorso interiore dell’uomo alla ricerca del confronto con il suo inconscio nel magma caotico dell’esistenza.

Il minotauro (1877-1886) – George Frederic Watts

Il labirinto sin dall’antichità simboleggia il viaggio dell’uomo verso la conoscenza. Un percorso che l’individuo costruisce a partire dalle sue scelte e che conduce inevitabilmente verso un centro. È questa l’arena di combattimento con il Minotauro, l’unico che può svelare al viaggiatore cosa incontrerà nel cuore del labirinto.

Il Minotauro è un soggetto mitologico reiterato numerose volte nell’arte, ma che assume una connotazione originale se contestualizzato nell’opera “Pasiphae (1943)” di Jackson Pollock. Il titolo fu scelto da Peggy Guggehneim in onore di Pasifae, moglie di Minosse e madre del Minotauro. L’orrore per l’unione carnale tra la donna e un toro bianco come vendetta di Poseidone sul mancato dovere adempiuto da Minosse nel sacrificare l’animale, relega il Minotauro nelle profondità del labirinto di Cnosso. La sua mostruosità rappresenta la natura più oscura dell’animo umano, quell’insieme di pulsioni represse nell’inconscio e incatenate dalla ragione con cui l’uomo deve confrontarsi.

Blue (Moby Dick) (1943) – Jackson Pollock

Nel dipinto di Pollock un groviglio di colori incornicia una scena di battaglia tra un uomo e un animale, Teseo che affronta il Minotauro. Originariamente il titolo dell’opera era “Moby Dick” e il soggetto rappresentava il capitano Achab nell’intento di arpionare la famosa balena bianca. Il parallelismo tra i due combattimenti viene richiamato anche in un’altra opera dell’artista “Blue (Moby Dick)” del 1943 dove, dove tra i colori immersi nell’oceano blu, compare, in alto a destra, una sagoma stilizzata di un toro.

Number One( 1950)- Jackson Pollock

Lo scopo del viaggiatore è chiaro. Incontrare la sua ombra, decifrarne le pulsioni inconsce e unificare natura razionale e irrazionale, in una conoscenza completa di sé. Tuttavia il labirinto non è solo una perfetta architettura geometrica, segnata da un percorso unicursale, che dall’ingresso conduce al centro e viceversa. Spesso si traduce in un rizoma, in un intreccio indistricabile senza via d’uscita. Lo rappresenta bene la tecnica del dripping, adottata da Pollock dal 1947. Non c’è più mediazione tra l’uomo e la tela, ma la vernice cola da barattoli bucherellati o viene lanciata con il pennello sullo sfondo bianco, come traspare dall’opera “Number One (1950)”.

Si potrebbe quindi dire che l’uomo si disperde all’interno del caos dell’esistenza, non riuscendo più a tenere a freno gli istinti irrazionali ormai liberati. In realtà Pollock non vuole interpretare il disordine in chiave negativa, ma come un magma primordiale che contiene già in sé tutte le forme e le figure. L’intreccio indistricabile è apparente. L’individuo, da una condizione iniziale di spaesamento riesce a cogliere la trama geometrica di significati che sottende il labirinto, poiché questa riconduce sempre all’uomo.


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