“Così, distanti, ci veniamo incontro”: la guerra tra sofferenza e condivisione nella poesia di Vittorio Sereni

Vittorio Sereni

La guerra è parte della storia di tutti i tempi e della contemporaneità. Solo chi la vive sulla sua pelle può sperimentarne la piena travolgente che porta con sé. Le testimonianze sulla guerra sono sempre state numerose in arte, letteratura e nella cultura in generale; Diario d’Algeria è una raccolta di poesie di Vittorio Sereni (Luino, 1913, Milano 1983) che racconta l’esperienza del poeta nelle vicende della seconda guerra mondiale, quando Sereni è costretto ad arruolarsi, pur aborrendo gli ideali fascisti. La raccolta, edita per la prima volta nel 1947, e successivamente ripubblicata nel 1965 con la ripartizione in tre sezioni (La ragazza di Atene, Diario d’Algeria, Il male d’Africa), è dedicata all’esperienza della guerra e della prigionia di Sereni in Algeria. La sezione iniziale, La ragazza di Atene, è incentrata sul soggiorno del poeta in Grecia in veste di militare, dopo la sconfitta greca impartita dall’alleanza di italiani e tedeschi. A contatto con la popolazione sconfitta, Sereni si focalizza sull’inutilità delle guerre, cause di sofferenze ingiustificabili, e sul sentimento che sente scaturire in sé e che vede riflesso nei compagni di leva: una pietà, un’umanità riscoperta proprio all’interno del contesto bellico, in cui il dolore appiana ogni diversità, e accomuna vincitori e vinti, militari e civili. Questa situazione è espressa chiaramente nella poesia Dimitrios, dove si descrive un fanciullo greco che si avvicina al poeta per domandare del pane:

Alla tenda s’accosta

Il piccolo nemico

Dimitrios e mi sorprende,

D’uccello tenue strido

Sul vetro del meriggio.

Non torce la bocca pura

La grazia che chiede pane,

Non si vela di pianto

Lo sguardo che fame e paura

Stempera nel cielo d’infanzia. […]

Il poeta è sorpreso dall’avvicinarsi inaspettato del bambino, definito con amarezza “piccolo nemico” sebbene porti dipinta l’innocenza nello sguardo impaurito; la bocca non si storce in una smorfia di rabbia nell’atto di chiedere aiuto a chi è stato causa della sua miseria, per cui viene definita “pura”, sottolineando la sua assenza di colpa, e la sua estraneità alle cause della guerra. Lo stupore del poeta è anche constatare quanto due individui così lontani, lui stesso e il bambino, condividano le medesime sensazioni relativamente al contesto storico in cui sono costretti a vivere (e soffrire), pur sentendosi entrambi così lontani dalle ideologie che la caratterizzano. La medesima tematica era stata anticipata in uno scritto dal titolo Lubiana, contenuto nella prosa Immediati dintorni, in cui il poeta parla di un carico uomini e donne prigionieri, in attesa di essere deportati, i cui occhi si fissano carichi di odio sul poeta e i commilitoni, e“ci si guarda intorno stupiti, afferma Sereni, in quanto “ognuno si sente abbastanza umano per pretendere di essere guardato per se stesso, fuori dalla collettività che rappresenta”. Si ricorda che lo stupore in Sereni è spesso correlato alla sensazione di non appartenenza e di impotenza, che in questo frangente riguarda la situazione bellica internazionale. D’altronde il poeta ribadisce con frequenza la propria distanza dalle cause della guerra; si ha un esempio nella poesia Italiano in Grecia:

Dei convogli che filano ai tuoi lembi

Colmo di strazio nel lungo semibuio

Come un cordoglio

Ha lasciato l’estate sulle curve

E mare e deserto è il domani?

Senza più stagioni

Europa Europa che mi guardi

Scendere inerme e assorto a un mio

Esile mito tra le schiere dei bruti

Sono un tuo figlio in fuga che non sa

Nemico se non la propria tristezza

[…]

Vado a dannarmi e insabbiarmi per anni.

Sereni descrive il proprio viaggio alla volte del fronte, collegando elementi dell’ambiente naturale (il paesaggio è tipico della sua poetica) al futuro che si preannuncia desolato come un vasto mare, o come il deserto. La guerra che dovrebbe essere per lui patriottismo e fonte di ispirazione è in realtà un “esile mito”, sintagma particolarmente forte per l’accostamento quasi ossimorico dei termini e perché evidenziato da un enjambement; i combattenti sono “le schiere di bruti”. L’immagine del deserto è ripresa nella drammatica conclusione, in cui il poeta afferma che rimarrà segnato per sempre (come effettivamente accadrà) da questo periodo della sua vita, sprofondando nelle sabbie della dannazione.

Così, in conclusione, tramite Diario di Algeria Sereni denuncia l’assurdità della guerra. Animato da una forte sensibilità per il genere umano, il poeta mostra imperterrito il suo “stupore” di fronte a un male così grande, condannato anche nella poesia omonima della prima sezione del Diario, ovvero La ragazza di Atene, dove ancora volta Sereni delinea con poche, efficaci parole il legame che si crea in mezzo alla sofferenza, nel comune desiderio di pace dove “Così, distanti, ci veniamo incontro”.


FONTI
Vittorio Sereni, Poesie e prose, Mondadori, 2013.
Vincezo Esposito, Lettura della poesia dei Vittorio Sereni, Mimesis, 2016.

 

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