Nell’Anglosfera c’è un buco grande quanto quello dell’Ozono

L’autore di questo articolo ci tiene a sottolineare che no, non è impazzito e che il termine anglosfera è una letterale traduzione di anglosphere, un modo simpatico di definire la special relationship che dalla fine della Seconda Guerra Mondiale unisce Regno Unito e Stati Uniti, da sempre garanti di democrazia, promotori di liberismo economico e di uguaglianza sociale (almeno in teoria, soprattutto per il caso americano. Ma questa è un’altra storia). Insomma, di fatto dagli anni Cinquanta le due potenze anglofone sono leader mondiali e garanti di pace, con gli Stati Uniti che hanno assunto il ruolo di prima potenza mondiale sostituendosi a Londra e al suo disgregato Impero Britannico, da cui hanno ereditato la lingua – e altrimenti non poteva essere, visto che sono partiti come inglesi fanatici religiosi perseguitati in patria – e in parte anche la cultura.

Tuttavia, la special relationship oggi sembra non essere più così speciale. E come nell’ozono, si è creato un immenso cratere anche nell’anglosfera: in sostanza i rapporti tra le due nazioni non sono così freddi dalla Guerra d’Indipendenza Americana. Eppure nonostante i legami fragili, ancora una volta le due nazioni si somigliano politicamente, perché in entrambe le sponde dell’Atlantico ha recentemente trionfato il populismo. Da una parte abbiamo infatti un Regno Unito in cui nel giugno del 2016 ha vinto il sì a Brexit per la felicità di Nicolas Farage – che si è dimesso poco tempo dopo, affermando l’irrealizzabilità delle sue promesse – e di Boris Johnson; dall’altra, sempre nel 2016 ma a Novembre, la vittoria alle elezioni di Donald Trump contro Hillary Clinton, l’uomo che nega tanti dati di fatto, tra cui il non poco importante riscaldamento globale (“A New York si gela“). Che cosa avrà mai incrinato i rapporti tra queste due nazioni se almeno politicamente seguono la stessa strada?

Diciamo che i risultati disastrosi delle guerre condotte dagli USA in medioriente nel primo decennio del terzo millennio e la crisi finanziaria del 2008 – quella dei Subprime, se volete capirne di più una volta per tutte guardate La Grande Scommessa – non hanno giovato alle economie e ai rapporti dell’anglosfera. Prima infatti gli Stati Uniti vedevano il Regno Unito come baluardo e ponte da cui “controllare” in maniera più o meno letterale i Paesi del Vecchio Continente; viceversa il Regno Unito era una sorta di primo satellite della potenza statunitense cui manteneva una stretta orbita per avere un’importante azione geopolitica di scala mondiale e sottrarsi ai conflitti o ai successi diplomatici continentali, atteggiamento riscontrabile nel relativamente tardo ingresso nell’Unione Europea. In seguito alla crisi economica, al declino economico e politico americano in primis ma anche occidentale, entrambi i paesi hanno puntato a relazioni in Oriente. E ciò chiaramente ha portato a dei conflitti d’interesse. L’America di Obama ha infatti puntato su un’Europa unita sotto la sua influenza, perché la secessione di Londra dalla congregazione avrebbe contribuito ai suoi occhi a contribuire al disfacimento dell’intera Istituzione e a una possibile intesa russo-tedesca che, ovviamente, ne avrebbe minato l’egemonia. L’avvenuta Brexit quindi non poteva che scatenare reazioni negative negli USA.

Nel Regno Unito, invece, hanno sempre puntato sulla NATO e sempre meno sull’Unione Europea. Inoltre la nazione dipende ormai dalla city, che punta sul declino di Washington e sull’Oriente, in particolare sull’ascesa – anche se oggi in crisi – cinese. Ciò è confermato dall’adesione, nel 2015, alla Banca Asiatica d’Investimento per le Infrastrutture, una banca promossa e proposta dalla Repubblica Popolare Cinese per finanziare la costruzione di nuove architetture in Asia, cui hanno in realtà aderito anche Francia e Italia nonostante le pressioni americane a fare il contrario. E questo ha scatenato altre reazioni negative oltreoceano. 

L’ultimo esempio di questa relazione in via di rottura è la recente apertura dell’ambasciata statunitense a Londra, avvenuta il 16 gennaio di quest’anno, la cui inaugurazione si terrà a febbraio. Nella city britannica è stata infatti inaugurata la nuova sede dell’ambasciata americana in un fatiscente e costosissimo edificio. Peccato, però, che Mr Trump abbia declinato e rifiutato la sua partecipazione richiesta da Theresa May, il primo ministro post-Brexit. Troppo costoso e, soprattutto, troppo dislocato per la sua posizione a sud del Tamigi, secondo il presidente, che non è risultato troppo simpatico ai londinesi che vivono a meridione del fiume. Del resto non piace neanche a coloro che vivono a nord del Tamigi o nel resto della nazione, visto che la sua politica ha visto letteralmente buttare via i valori liberali, supportando leaders tutto fuorché democratici come Hugo Chàvez in Venezuela o Castro a Cuba; e per il suo apparire continuamente nella televisione russa o in quella iraniana.

Che cosa quindi aspettarsi nel futuro per questa special relationship? Sperare in nuovi leader più ragionevoli rispetto a quelli attuali; in qualche forma di opportunismo (quello sano) che colga diverse occasioni e funi di salvezza per rimediare ai danni che si stanno facendo. E, soprattutto, sperare in un maggiore realismo da parte di quelle istituzioni, ovvero non pretendere nulla di troppo dalla special relationship

 

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