Il pensiero di un antico: cristianesimo VS dèi pagani

Nati in una cultura cullata in seno al cristianesimo e al suo dogma di un unico Dio creatore dell’universo, è difficile per noi immaginare in che modo il mondo antico potesse credere al proprio universo caotico di divinità, con i loro miti spesso in contraddizione l’uno con l’altro. Eppure potremmo capirlo meglio con un cambio di prospettiva, chiedendoci: come doveva apparire una religione come il cristianesimo alle persone di quei tempi, durante l’Impero Romano, quando questa nuova fede veniva vista diffondersi sempre di più, negando gli antichi dèi?

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Ce ne parla Celso, un pagano erudito che verso il 178 d.C. compose il La vera dottrina, un trattato con cui attaccava le credenze di Ebrei e Cristiani. Da questo suo scritto, che rappresenta la genuina reazione di una persona davvero credente alle divinità pagane, vediamo la sua difficoltà a credere a molti dei racconti biblici. Egli ci appare particolarmente sconvolto dalla nozione cristiana di divinità: la religione greco/romana era infatti aperta a coloro che da umani (eroi) diventavano dèi (come ad esempio Ercole), ma il processo contrario, di un Dio che si faceva uomo come si diceva avesse fatto Gesù, sembrava a Celso privo di senso e impossibile da credere.

Celso non poteva accettare che un dio decidesse di assumere la forma di un uomo qualunque, rifiutando inoltre di difendersi di fronte agli attacchi: un dio dovrebbe essere un imperatore, una persona dotata di potere e autorità, qualcuno di ben diverso da Gesù che viveva invece in povertà e lavorava. Perché un dio sceglierebbe una donna non ricca né di nobili natali per darlo alla luce? Perché mangerebbe cibo mortale al posto di nettare e ambrosia? Perché dovrebbe occuparsi di peccatori ed emarginati? Celso mette in evidenza l’assurdità di una divinità che mette al primo posto i peccatori: “Il dio dei cristiani è stato inviato ai peccatori; perché non agli innocenti? Che male c’è a non avere colpe? Perché questa preferenza per i peccatori? I cristiani dicono queste cose per esortare i peccatori, poiché non sono capaci di attirare chi è veramente onesto e giusto. Per questo spalancano le loro porte agli uomini più empi e abominevoli. Il loro dio, schiavo della pietà per chi si lamenta, consola i malvagi e respinge coloro che non fanno niente di male. Questo è il colmo dell’ingiustizia”.

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Celso inoltre criticava la visione cristiana di un rapporto esclusivo tra la divinità e la razza umana: in cosa l’uomo era tanto superiore alle api, alle formiche, agli elefanti? L’idea di una divinità che tiene così in conto gli esseri umani e addirittura una sola nazione (gli Ebrei) gli appare come un insulto alla divinità stessa. Il mondo, per Celso, non era pensato per gli esseri umani: gli dèi esistevano per sé stessi piuttosto che per noi, e si interessavano dei mortali solo quando questi finivano implicati nei loro interessi personali. Gli dèi favorivano solo quegli umani che potevano portare avanti i loro interessi: capi, re e aristocratici piuttosto che persone subalterne.

Si tratta di un modo diverso di considerare il mondo, che usa una prospettiva straniata rispetto a quella a cui siamo abituati. Eppure possiamo comunque comprendere le ragioni che spingevano Celso ad essere scettico nei confronti di una religione nuova, ancora mutevole nei suoi dogmi, che si stava affacciando al grande mondo minandone la fede esistente. La storia ha segnato la vittoria al cristianesimo, ma ancora oggi rimaniamo influenzati da quella visione del mondo, complice la grande importanza rivestita dai miti nella letteratura occidentale.


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-Mary Lefkowitz, Dèi greci, vite umane.

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