Dirsi liberi è piuttosto complicato

Per alcuni la libertà è qualcosa di ovvio, del tutto evidente. Ne facciamo esperienza spessissimo e nelle situazioni più varie. Si tratta di qualcosa di così intuitivo da non richiedere nemmeno di scomodare né filosofi né profeti. Il fatto di percepirsi come agenti liberi basta a chiudere la questione del libero arbitrio.

Per altri però tutto questo è quantomeno dubbio. Quello che sappiamo del mondo ci dice che esistono delle leggi deterministiche ben precise che governano tutti i fenomeni. Ad ogni causa segue uno ed un solo effetto. E l’uomo, fenomeno tra i fenomeni, non farebbe eccezione. Che queste leggi provengano dalla scienza (naturali) o dalla teologia (divine), poco importa: tutto è determinato. Non si scappa.

Quel che è certo, è che dirsi davvero liberi è piuttosto complicato. David Hume definiva quella del libero arbitrio “la più controversa delle questioni metafisiche”. E forse non aveva tutti i torti. Chiunque abbia dato un’occhiata da vicino alla faccenda lo sa.

La situazione poi è aggravata dal fatto che da questa questione potrebbero dipendere alcuni concetti fondamentali per la nostra società. Quello di responsabilità è certamente uno dei più scottanti, ma non è il solo. Vediamo allora perché la faccenda potrebbe essere più complicata del previsto.

Le condizioni necessarie affinché un agente possa dirsi davvero libero sono solitamente due. La prima è la possibilità di fare altrimenti, ossia di scegliere tra corsi d’azione diversi. Banalmente: posso decidere se farmi un bicchierino o meno stasera. Questo significa che ho due corsi d’azione di fronte a me. Posso decidere tra a) farmi un bicchierino stasera e b) non farmi un bicchierino stasera. In condizioni normali questo è garantito. Se fossi però un alcolizzato il corso d’azione b) con ogni probabilità verrebbe meno. Risultato: non potendo che compiere a), non potrei certo dirmi libero.

L’altra condizione necessaria per la libertà è l’autodeterminazione. Ossia il ruolo determinante che un agente ha  all’interno di una catena di eventi. Se dovessi scegliere tra a) e b) per mezzo del lancio di una moneta, questa scelta più che libera risulterebbe casuale. Ci sarebbe qualcosa che andrebbe oltre la mia possibilità di determinare gli eventi – il caso, appunto.

Quest’ultimo aspetto della libertà è meno intuitivo e quindi merita di essere approfondito. Hilary Putnam a questo scopo aveva escogitato uno dei suoi celebri esperimenti mentali. Immaginate due universi paralleli identici sotto tutti gli aspetti. Stessa storia naturale, stesse leggi di natura deterministiche. Tradotto: ad ogni causa non potrebbe che seguire uno ed un solo effetto. Ovviamente, i due universi non potrebbero che trovarsi in un certo istante t nello stesso identico stato di cose x.

Il filosofo americano Hilary Putnam

Poniamo ora che, in un momento t’ e in uno stesso stato di cose x’, due gemelli, uno per universo parallelo, si trovino a dover scegliere tra a) e b). E che improvvisamente i due universi incomincino proprio in quel momento a godere di leggi di natura indeterministiche. Tradotto: ad una stessa causa potrebbero seguire effetti diversi. A questo punto in un universo un gemello potrebbe scegliere a), nell’altro invece b).

Se così fosse, la scelta non sarebbe determinata da nulla. Non dall’ambiente, identico in entrambi gli universi e  per giunta governato da leggi di natura indeterministiche. Non dagli agenti, identici in tutto e per tutto. In questo modo quindi verrebbe meno la seconda condizione per la libertà, ossia l’autodeterminazione. Non essendo la scelta di a) o b) affatto diversa dal lancio di una moneta, la libertà si appiattirebbe sul caso.

Come si vede dunque, la questione non è poi così banale. Se anche l’universo fosse governato da leggi indeterministiche, la libertà non sarebbe affatto garantita.


FONTI

Mario De Caro, Il libero arbitrio. Una introduzione, Laterza, Roma-Bari 2004

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