Leggenda milanese

Era quasi la vigilia di Natale, quando Ughetto degli Antellari, nobile cavaliere, tornò a Milano.
Erano stati mesi duri, per lui e i suoi compagni, che avevano combattuto a lungo, troppe volte, in quella guerra d’Italia che sembrava non sarebbe finita mai.
Ludovico il Moro, signore del Ducato di Milano, li aveva accolti sorridente, nel lungo mantello rosso. Beatrice, fiera ed elegante al suo fianco, era davvero una donna bellissima, anche se nessuna sarebbe mai stata all’altezza di Adalgisa.

Milano era stata addobbata per il Natale. Grandi lanterne erano affisse fuori dalle case, piuttosto modeste, mentre sui davanzali delle finestre minuscoli fuocherelli danzavano sugli stoppini delle candele. Ghirlande e agrifoglio abbellivano le porte, mentre cumuli di neve di qualche giorno prima erano abbandonati ai lati delle strade. Faceva molto freddo quell’anno.

Dall’interno del forno all’angolo arrivava, quando la porta veniva aperta, l’aria calda del fuoco che ardeva all’interno per cuocere il pane, insieme ad un certo profumo di farina, miele e mandorle.
La piccola stanza del fornaio era piena di gente che scrutava golosa cosa avevano da offrire i grandi cesti di legno posati sul lungo bancone.
Toni, il proprietario, era senza dubbio il fornaio più bravo di Milano.
Perfino il duca e sua moglie, che possedevano un numero ingente di eccellenti cuochi, erano soliti mandare lì i servitori per procurarsi pane e dolci per il grande pranzo di Natale.

Ughetto non era mai entrato, sebbene fosse passato davanti a quella porta un gran numero di volte. Non trovava il coraggio. Una volta dentro si sarebbe trovato faccia a faccia con quella figura che tante volte aveva scorto, tante volte aveva osservato entrare e uscire dalla bottega del padre, per andare al mercato, dall’anziana sarta in fondo alla via, nella chiesetta della piazza.
Pensava a lei prima di una battaglia, nei momenti di riposo, quando scriveva una lettera.
Era a lei che avrebbe voluto mandare quelle pagine, ma la verità era che lei non sapeva chi egli fosse, poiché non lo aveva mai visto. A Ughetto sembrava di conoscerla da sempre.

Adalgisa.

Quel giorno c’era una grande confusione davanti alla porta del fornaio. Toni, un omone robusto, dalle grandi mani e gli occhi azzurri e buoni, parlava conciso con un gruppetto di persone che si era raccolta attorno a lui. Si avvicinò anche Ughetto.

– “Domani sarà la Vigilia di Natale e io non ho un garzone che mi aiuti nella preparazione dei dolci e con il forno. Il braccio che quel ragazzaccio distratto si è bruciato ieri non guarirà prima di un mese. Il duca sicuramente richiederà una grossa cesta di pani, ma io e mia figlia soli non ce la faremo mai!”

A tratti si teneva la testa con le grosse mani, mentre con gli occhi sembrava implorare che qualcuno si facesse avanti, ma tutti rispondevano “go’ da fa’, Toni” o “sun menga bon”.

Fu Ughetto a dire che lo avrebbe aiutato lui, senza rendersi conto di ciò che realmente stava facendo. Era un cavaliere lui; un cavaliere bugiardo che aveva affermato di essere un garzone alle prime armi.
Non solo Toni lo avrebbe cacciato, ma avrebbe perso ogni speranza di sposare Adalgisa.
Eppure era talmente felice all’idea di vederla davvero, che non riusciva ad essere preoccupato per le conseguenze che il suo gesto avrebbe comportato.

Entrato nel retrobottega si mise un buffo cappello e un lungo grembiule bianco – lui, un cavaliere! – mentre Toni gli ordinava di preparare l’impasto per il miglior dolce che egli fosse capace di fare.

Erano fianco a fianco, lui e Adalgisa, e sentiva il cuore battergli all’impazzata nel petto.
Era ancora più bella che vista da lontano.
Gli occhi scuri, le labbra morbide e rosee, i capelli scompigliati, raccolti in una coda: tutto era bellissimo in lei.
Voleva prepararle un dolce, ma non sapeva da dove iniziare.
Decise di provarci. In fondo, non avrebbe perso nulla: Toni lo avrebbe comunque mandato via bruscamente.
a l i c e m c r a e _

Cercò di ricordare le ricette delle torte della mamma. Da piccolo adorava affogare il dito nell’impasto e infilarselo in bocca.
Così prese farina, zucchero, acqua, burro e lievito e mescolò insieme. Non sembrava male, a vedersi. Aggiunse dei canditi, scorze di arancia e limone, e un po’ di uvetta.
Lo mise in forno e lo lasciò lì finché non assunse un colore ambrato, non bruciato.
Non era molto bello da vedere, tanto che Toni rimase un po’ interdetto quando lo vide. Il sapore era buonissimo. Caldo e morbido, dolce e profumato, fu soprannominato “Pan de Toni”, per lo stupore che si era dipinto sul volto del fornaio quando lo aveva assaggiato.

Ughetto chiese la mano di Adalgisa e con la benedizione di Toni, Ludovico il Moro e Beatrice d’Este, i due si sposarono in primavera.

Ogni Natale, sulle tavole dei milanesi, ricchi e poveri, non mancò mai il panettone.


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