Una questione d’onore: il no di Franca Viola al matrimonio riparatore

Santo Stefano, tradizionalmente giornata di festa. Ma il 26 dicembre 1965, con il rapimento ad Alcamo di Franca Viola, passa alla storia per aver portato alla ribalta le implicazioni peggiori di una pratica allora diffusa nel Meridione, quella della fuitina.

Interpretata come piccola fuga d’amore, la fuitina veniva romanticamente intesa come l’espediente adoperato da due giovani consenzienti per rendere pubblica, e quindi coronare, un’unione osteggiata dalle famiglie: compromessa la donna e svergognato il padre, non restava che celebrare il prima possibile il matrimonio, per ripristinare l’onore delle famiglie coinvolte.

Proprio appellandosi a questo fenomeno di costume, gli uomini responsabili del sequestro di Franca cercarono di impostare la loro difesa, consci di avere dalla loro persino il Codice Penale, che all’articolo 573 affermava:

Chiunque sottrae un minore, che abbia compiuto gli anni quattordici, col consenso di esso, al genitore esercente la responsabilità genitoriale o al tutore, ovvero lo ritiene contro la volontà del medesimo genitore o tutore, è punito, a querela di questo, con la reclusione fino a due anni. La pena è diminuita, se il fatto è commesso per fine di matrimonio; è aumentata, se è commesso per fine di libidine. [Si applicano le disposizioni degli articoli 525 e 544]

Franca venne rapita quattordici giorni prima che compisse la maggiore età, portata in un casolare in campagna, stuprata e poi reclusa a casa della sorella del suo aguzzino, Filippo Melodia. Questi, nipote del mafioso Vincenzo Rimi, era stato per breve tempo il fidanzato della giovane, ma il padre di lei aveva rotto il loro vincolo alla notizia dell’arresto del ragazzo per furto e affiliazione mafiosa. A niente valsero le gravi intimidazioni che la famiglia Viola dovette subire: danni alle proprietà agricole e minacce di morte non fecero desistere papà Bernardo.

Un uomo d’onore come Filippo, però, non poteva certo sopportare l’ostinato rifiuto ed ecco che con dodici complici organizzò il rapimento a scopo di stupro. A sei giorni dalla scomparsa di Franca, il potente boss Rimi telefonò a Bernardo Viola per costringerlo alla paciata, ossia ad accettare il consueto matrimonio riparatore che si sarebbe celebrato dopo il rilascio di Filippo. Il colpevole infatti era certo che il proprio arresto sarebbe stato risolto nel giro di giorni, non in virtù dei propri agganci con Cosa Nostra, ma per imposizione dell’articolo 544:

Per i delitti preveduti dal capo primo e dall’articolo 530, il matrimonio, che l’autore del reato contragga con la persona offesa, estingue il reato, anche riguardo a coloro che sono concorsi nel reato medesimo; e, se vi è stata condanna, ne cessano l’esecuzione e gli effetti penali.

Tuttavia Bernardo Viola non era né un omertoso né un padre padrone e ancora una volta, per amore della figlia, fu capace di non piegarsi davanti al discredito a cui una mentalità retrograda lo condannava. Dopo aver finto di accettare le condizioni di Melodia, approfittò del suo periodo di incarcerazione per ricongiungersi alla figlia e ascoltare la sua voce: “Io non sono proprietà di nessuno, nessuno può costringermi ad amare una persona che non rispetto, l’onore lo perde chi le fa certe cose, non chi le subisce”.

Franca e Bernardo si costituirono parte civile e il 9 dicembre 1966 ebbe inizio a Trapani il processo a Filippo Melodia e ai suoi complici, con diciassette imputazioni a carico. La giovane dovette sopportare nuove minacce, tanto da essere messa sotto scorta, e nuove infamie da parte della difesa e di una fetta dell’opinione pubblica. Si parlò di amore; si parlò di una ragazza stupida incapace di capire il vantaggio che le sarebbe venuto dall’unione con un uomo benestante; si parlò di una depravata incapace di ammettere di essersi concessa, e più di una volta, al suo amante. Fortunatamente prevalsero il buon senso e il coraggio del giudice Giovanni Albeggiani, che inflisse il massimo della pena allo stupratore: dieci anni di reclusione e due di domicilio coatto presso Modena.

Di fronte al richiamo nazionale e internazionale del suo caso, il primo in cui una donna violentata rifiutava di scendere a patti e unirsi in matrimonio con chi l’aveva deflorata, Franca Viola commentò: “c’è sempre una prima volta, e io fui quella che diede inizio al cambiamento”. Dal coraggio di una ragazza e dei suoi famigliari, soli contro un secolare sistema di valori, scaturì una vera e propria riforma culturale, e poi legislativa.

Nel 1981, infatti, il Presidente della Repubblica, Oronzo Reale, con la legge 442 abroga l’articolo 544, riconoscendo lo stupro come un delitto contro la persona (e non semplicemente contro la morale) e rendendo quindi impossibile estinguere il reato semplicemente sposando la vittima.

Oggi Franca Viola è una donna sposata, con tre figli, insignita dal 2014 del titolo di Grande ufficiale dell’Ordine al Merito della Repubblica italiana su iniziativa di Giorgio Napolitano, per aver sancito una tappa fondamentale nella storia dell’emancipazione delle donne nel nostro Paese. Non ha nemmeno rinunciato a vivere ad Alcamo, forte della soddisfazione di vedere che ora sono i familiari di Filippo Melodia (ucciso da un colpo di lupara dopo il rilascio) a dover chinare gli occhi quando la incontrano in paese.


FONTI

Repubblica

Corriere

Enciclopediadelledonne

Altervista

Labottegadelmistero

CREDITS

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Immagine 1

 

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