PACO ROCA, RUGHE: CHE VITA RIMANE QUANDO I RICORDI SVANISCONO?

Un uomo spiega a una coppia che la banca non potrà concedere il prestito che stanno richiedendo; la coppia appare evidentemente a disagio, lui persino frustrato, e sbotta: papà, noi non stiamo chiedendo un prestito, e tu non sei più un direttore di banca! No, Emilio è anziano, non lavora più, ed è affetto dal morbo di Alzheimer. Il figlio è costretto a farlo ricoverare in una casa di riposo in cui possano meglio prendersi cura di lui, ed è qui che Paco Roca ambienta la storia che vuole raccontare con Rughe, graphic novel pubblicata nel 2007, solo l’anno successivo in Italia.

La novità del raccontare l’anzianità tramite mezzo grafico e la sensibilità con cui si dedica al progetto valgono a Roca diversi premi e la soddisfazione di vedere Rughe adattato a film d’animazione da Ignacio Ferreras. Che vita rimane quando i ricordi svaniscono? Quando non si conoscono più i nomi dei propri cari. Quando non si sa più nemmeno come vestirsi. Quando si perde il senso della realtà. È questo il crescendo di paure che Paco Roca ha cercato di raccontare con la sua brevissima graphic novel.

Paco Roca, Rughe, Tunué, 2008

La negazione della malattia, poi la consapevolezza della degenerazione graduale e quotidiana, il tentativo di nascondere i sintomi ai medici e agli inservienti per scongiurare quanto di più grave possa accadere: il trasferimento al piano superiore, quello in cui trovano spazio i casi senza speranza. Il tormento interiore di Emilio scorre nelle tavole di Roca reso dal suo tratto necessariamente rassicurante davanti all’enormità della tematica che sta trattando. Pochi dialoghi; è il silenzio che parla: il silenzio della quotidianità nella casa di riposo, in cui tutto si ripete uguale e monotono, le giornate scorrono scandite dai pasti e dalle medicine, dalle corse per guadagnarsi una poltroncina sulla quale dormire nella sala tv. Anche le tavole suggeriscono l’immobilità della routine alla casa di riposo: le immagini della mensa e degli anziani appisolati si ripetono più e più volte; le ore scandite dall’orologio alla parete l’unico indizio del tempo che passa. Ma riprendono vita; lo fanno nel momento in cui i degenti ricordano la loro gioventù: allora cambiano le ambientazioni, cambiano le espressioni, cambia il tono.

Rughe racconta la vita nella casa di riposo, racconta l’amicizia di Emilio con coloro che conosce durante la sua degenza; racconta anche le storie degli altri anziani, dei loro comportamenti bizzarri, dei piccoli gesti di altruismo, dei disagi che ognuno di loro vive. La commozione non manca; non manca nemmeno l’elemento comico. Ma è la rabbia che domina il lettore pagina dopo pagina; rabbia per il senso di frustrazione che genera la malattia, tanto in chi ne è affetto quanto in chi è costretto ad assistervi, spettatore impotente. La rabbia di Emilio che non riesce a ricordare le parole di cui ha bisogno per esprimere ciò che pensa è la stessa di suo figlio che più e più volte si trova a spiegargli che non è più un direttore di banca; è la stessa rabbia del lettore, che entra in empatia con Emilio e i suoi compagni d’avventura, e vorrebbe poter immaginare un destino diverso per tutti loro. È la stessa rabbia che sorge nel momento dell’immedesimazione con i personaggi, nel momento in cui ci si chiede ciò su cui Roca vuole portare il lettore a riflettere appunto: che vita rimane quando i ricordi svaniscono?


FONTI
Fonte 1
Paco Roca, Rughe, Tunué, 2008

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