UNESCO

UNESCO, all’interno dell’organizzazione della cultura

“Pregiudizio anti-Israele”. Questa è la motivazione ufficiale per cui gli Stati Uniti hanno annunciato lo scorso ottobre l’abbandono dell’UNESCO, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura. L’abbandono effettivo avverrà solo il 31 dicembre 2018, ma non è la prima volta che questo succede. Molti presidenti americani hanno infatti avuto rapporti conflittuali con questa organizzazione internazionale, che ha spesso preso posizioni scomode per i governi di molte nazioni. Ma qual è l’effettivo ruolo di questa organizzazione? Come opera? E di cosa si occupa?

Nata nel 1945 all’interno delle Nazioni Unite, l’UNESCO ha come obiettivo primario quello di promuovere la collaborazione internazionale su temi scientifici e culturali. Tra le sue iniziative più famose senza dubbio c’è il Patrimonio UNESCO dell’Umanità. Il Patrimonio costituisce una lista di luoghi di particolare rilevanza dal punto di vista storico, artistico, paesaggistico, tecnologico. A giudicare la validità dei candidati, ogni quattro anni si scelgono i rappresentanti di 21 stati membri per formare il Comitato Patrimonio Mondiale. Questo comitato verifica se i particolari candidati rispecchiano una delle caratteristiche di straordinarietà richieste, divise nei seguenti punti:

i) Rappresentare un capolavoro del genio creativo dell’uomo.

(ii) Mostrare un importante interscambio di valori umani in un lungo arco temporale o all’interno di un’area culturale del mondo, sugli sviluppi dell’architettura, nella tecnologia, nelle arti monumentali, nella pianificazione urbana e nel disegno del paesaggio.

(iii) Essere testimonianza unica o eccezionale di una tradizione culturale o di una civiltà vivente o scomparsa

(iv) Costituire un esempio straordinario di una tipologia edilizia, di un insieme architettonico o tecnologico o di un paesaggio che illustri uno o più importanti fasi nella storia umana.

(v) Essere un esempio eccezionale di un insediamento umano tradizionale, dell’utilizzo di risorse territoriali o marine, rappresentativo di una cultura (o più culture) o dell’interazione dell’uomo con l’ambiente, soprattutto quando lo stesso è divenuto per effetto delle trasformazioni irreversibili.

(vi) Essere direttamente o materialmente associati con avvenimenti o tradizioni viventi, idee o credenze, opere artistiche o letterarie dotate di un significato universale eccezionale.

(vii) Presentare fenomeni naturali eccezionali o aree di eccezionale bellezza naturale o importanza estetica.

(viii) Costituire una testimonianza straordinaria dei principali periodi dell’evoluzione della terra, comprese testimonianze di vita, di processi geologici in atto nello sviluppo delle caratteristiche fisiche della superficie terrestre o di caratteristiche geomorfiche o fisiografiche significative.

(ix) Costituire esempi significativi di importanti processi ecologici e biologici in atto nell’evoluzione e nello sviluppo di ecosistemi e di ambienti vegetali e animali terrestri, di acqua dolce, costieri e marini.

(x) Presentare gli habitat naturali più importanti e significativi, adatti per la conservazione in siti della diversità biologica, compresi quelli in cui sopravvivono specie minacciate di eccezionale valore universale dal punto di vista della scienza o della conservazione.

Come mai si sente così tanto parlare di UNESCO in Italia? Perché l’Italia è il paese con il più alto numero di siti all’interno del Patrimonio. Grazie alla nostra combinazione unica di storia, arte e bellezze naturali, possiamo vantare ben 53 siti, contro i 52 della Cina; seguono a ruota Spagna (46), Francia (43) e Germania (42). Non solo Roma, Venezia e Firenze: tra i siti nostrani troviamo anche foreste, scavi archeologici, catene montuose e isole. La regione italiana con più siti è, forse inaspettatamente, la Lombardia, con ben 10 siti, tra cui Santa Maria delle Grazie a Milano e il centro storico di Mantova.

Ma se il nostro paese ha da sempre un ottimo rapporto con questa organizzazione, non sono mancate nel corso degli anni le polemiche di carattere politico. In particolare gli Stati Uniti sono spesso stati molto critici nei suoi confronti, secondo alcuni perché l’UNESCO ne avrebbe minacciato la supremazia culturale nel mondo. I rapporti sono infatti rimasti tesi fin dall’epoca della guerra fredda, fino a sfociare nell’annuncio di Reagan dell’abbandono degli USA nel dicembre 1983. Motivo ufficiale: si spendeva più di quanto si ottenesse in cambio. Solo dopo l’attacco alle Torri Gemelle l’amministrazione Bush decise di rientrare a farvi parte, temendo un eccessivo isolamento culturale. Ma i rapporti non migliorarono: dopo solo dieci anni nel 2011 gli Stati Uniti divennero membri non paganti.

Fino alla decisione, arrivata quest’anno, di lasciare (di nuovo) l’organizzazione. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è l’ingresso della Palestina come membro, motivo che alla luce di quanto detto sembra più che altro un pretesto. Nella decisione sembra aver avuto più peso la storia travagliata degli Stati Uniti con l’organizzazione, senza contare che il fatto è in linea con le posizioni ostili sugli accordi internazionali dell’amministrazione Trump. E anche se dovrà rinunciare alla prima superpotenza del globo, l’UNESCO continuerà nel suo operato di diffusione della cultura tra popoli e nazioni, in un periodo in cui la cultura sembra essere l’unica soluzione alle maggiori sfide della modernità.

 

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