Björk, la sua Utopia e la linfa di una nuova vita

Parlare di un album di Björk è sempre difficile. Errata corrige – parlare di Björk è sempre difficile. Non si tratta di parlarne bene o male, non si tratta di criticare o lodare la sua produzione musicale, si tratta sempre del suo continuo essere in evoluzione. Del suo essere fuori da ogni tipo di schema, righe e preconcetto. La sua musica è così articolata, complessa, espressa su così tanti livelli che non si tratta mai di un ascolto facile, né i suoi pezzi più semplici né quelli in cui dà il massimo di sé stessa.

Just that kiss was all there is
Every cell in my body, lined up for you
Legs a little open. Once again
Arisen my senses

My healed chest wound transformed into a gate
Where I receive love from. Where I give love from.
The Gate

Björk, d’altronde, è un’artista che ha pubblicato il suo primo disco a undici anni. È un’artista che senza l’appoggio di nessuna major discografica – tutti i suoi album, infatti, sono pubblicati dalla sua etichetta discografica One Little Indian – è riuscita a vendere 40 milioni di dischi in tutto il globo. Partendo da quella piccola cittadina di 120000 abitanti che porta il nome di Reykjavik. È un’artista che ha sperimentato più generi di molti altri musicisti o cantanti anche più famosi di lei e che porta avanti, con una fierezza invidiabile, lo stendardo dell’avanguardia nella musica.

The interior of these melodies
is perhaps where we are meant to be
our physical union a fantasy
I just fell in love with a song
Blissing me

Utopia, a dispetto di quanto potrebbe suggerirci il senso comune, è un disco che non ha niente di preoccupante al suo interno. Rispettando l’etimologia del termine, Utopia è come un luogo meraviglioso ma inaccessibile. È una ricerca che la cantante fa all’interno di sé stessa. Se Vulnicura rappresentava il dolore più sincero di Björk e il superamento di queste pene (il titolo, dal latino, vuol dire letteralmente cura delle ferite), Utopia è una dolcissima narrazione di come su questi tagli, su questo cuore spezzato sia riuscito di nuovo a sbocciare qualcosa. Nel singolo apripista The Gate, Björk canta: La ferita sul mio petto, guarita, si è trasformata in una porta, dal quale ricevo e do amore.

L’Utopia raccontata è infatti quella del tornare ad amare, del rinascere, temi che si ripetono in tutti gli elementi che compongono l’album, dalla copertina (sulla fronte, infatti, la cantante porta una vulva a forma di cuore) ai testi (la primissima canzone, Arisen my senses, dichiara il desiderio di un rapporto, anche sessuale). È una favola che, però, non è composta solo dal lieto fine, ma anche dalle peripezie che l’hanno portata fino a questo punto.

Soft is my chest, I didn’t allow loss
Loss make me hate, didn’t harden from pain
This pain we have will always be there
But the sense of full satisfaction too
Loss

Utopia è la piena presa di coscienza della rottura di cui parlava nel precedente album, la fine del matrimonio con l’artista Matthew Barney. Ed è proprio il parlarne di nuovo, ma in quantità minore e con un certo distacco, a legittimare l’andare avanti dell’artista. I flauti, i synth onirici, i versi di animali nella produzione elevano i brani anche più ostici (come, per esempio, Body Memory, 9 minuti e 47 secondi di brano) alla sensazione quasi di star facendo un viaggio, un’esperienza multisensoriale. Un’odissea sonora, visiva, testuale che si conclude con un invito, quello di Future Forever.

Imagine a future and be in it.
Feel this incredible nurture, soak it in.
Your past is on loop, turn it off.
See this possible future
and be in it.

 


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