Il costo del sesso: prostituzione e tratta

Come fiori colti e abbandonati sul ciglio della strada osservano la vita svolgersi intorno a loro, incapaci di farne parte. Giovani donne strappate alle loro terre e ai loro affetti e costrette a vendere il proprio corpo per denaro. Un dramma che tutti i giorni si consuma sotto i nostri occhi troppo pigri per riconoscerlo. La prostituzione appartiene ad un mondo parallelo in cui non ci è permesso entrare, in cui non vogliamo entrare, ma che si incastra perfettamente con il nostro. Un mondo fatto di violenze, soprusi di ogni genere e organizzazioni criminali.

L’Italia, come molti paesi in fatto di prostituzione, adotta una politica abolizionista: non la vieta ma la sfavorisce. La legge che ne sancisce la pena è la legge Merlin, emanata nel 1958 e ancora in vigore, proibisce l’attività della case chiuse punendo: lo sfruttamento, il favoreggiamento della prostituzione e “chiunque in qualsiasi modo favorisca o sfrutti la prostituzione altrui”.

Perché la prostituzione è da considerare una violenza? Innanzitutto diffidate dal credere che esistano prostitute per scelta in Italia, o meglio, queste appartengono ad una microscopica minoranza. Nella maggioranza dei casi la prostituzione è strettamente legata alla tratta di esseri umani. La causa principale di ciò è che il suolo “pubblico” delle strade tanto pubblico non è, in ogni luogo esiste una mafia a cui il territorio appartiene.

La violenza più riconoscibile è chiaramente quella di tipo fisico compiuta non solo dal cliente ma anche dallo sfruttatore. Lo sfruttatore per primo deve fare in modo che la donna obbedisca, e quale mezzo migliore se non la paura? Si parla qui di violenza sessuale, ma anche di percosse e maltrattamento: dalle sigarette spente addosso, alle vasche con il ghiaccio. Non dimentichiamoci che la prostituzione in Italia è in maggior parte straniera, le ragazze e i loro aguzzini provengono da paesi in cui il ruolo della donna è un ruolo di sottomissione e servilismo. Le motivazioni per cui una prostituta subisce violenza da un cliente sono in genere due: il tentativo di derubarla e il desiderio di un rapporto sessuale violento. Da tenere in considerazione è anche il fatto che vivere all’aria aperta significa essere vittima del clima, con orari di lavoro massacranti e che non permettono un giorno di riposo. L’igiene e la salute sono un altro fattore da considerare.

La strada è un luogo pericoloso dove non esistono regole, orari, giorni di riposo, igiene.

Esistono una serie di violenze psicologiche che legano la donna al suo lavoro di prostituta. Forse sarebbe più corretto parlare di sfruttamenti piuttosto che sfruttamento della prostituzione e questo perché spesso le storie delle ragazze sono accomunate in base alla loro etnia e all’organizzazione criminale che hanno alle spalle. In questa sede citeremo due dei principali tipi di sfruttamento in Italia: quello nigeriano e quello albanese.

Nel caso della prostituzione nigeriana non si può parlare di violenza di genere, si tratta quasi sempre di donne che sfruttano donne. È possibile delineare una tripartizione dell’organizzazione criminale in questo caso. In prima battuta troviamo l’investitore, colui che si occupa del reclutamento delle donne e spesso è un amico, un famigliare o comunque qualcuno di cui potersi fidare. Con il sogno e la promessa di una vita migliore le giovani donne nigeriane partono per un viaggio lungo e faticoso che, grazie ad un’organizzazione ponte, gli permette di attraversare i confini italiani. Le vere sfruttatrici sono le Maman, che si occupano delle esigenze quotidiane e legate al mestiere, spesso anch’esse ex prostitute che hanno fatto carriera.

L’adescamento gioca molto sull’ignoranza della vittima. Spesso in ambito nigeriano, essendo un popolo profondamente tradizionalista, a legare le donne alla strada è anche un rito woodoo compiuto prima della partenza. Comune a tutte è il debito di viaggio contratto dalla famiglia della vittima e dalla vittima stessa, con i propri sfruttatori. Il debito di viaggio è un debito inestinguibile che corrisponde al prezzo del viaggio, maggiorato, a cui si aggiungono una volta arrivate in Italia le spese per vitto alloggio e l’affitto del “joint” (lo spiazzo di terreno su cui si esercita l’attività). Molteplici sono i ricatti con cui le ragazze vengono costrette a prostituirsi, primo tra tutti la minaccia alla famiglia. Ad avere un grosso peso è la consapevolezza di non poter più tornare indietro, perché non può esserci cosa più imperdonabile per la cultura nigeriana di una figlia che si prostituisce. Il ricatto tocca le corde più profonde della vita di queste donne: gli affetti; la dignità; la religione.

La prostituzione albanese è ancora più macchinosa e violenta, se possibile, perché il rapporto tra sfruttatore e sfruttata è un rapporto affettivo che gioca sulla cosa più cara ad una donna, l’amore. Le ragazze hanno la certezza di avere una relazione amorosa con i loro compagni, un rapporto che viene costruito all’interno dei confini albanesi e sboccia in orrore sul suolo italiano. A differenza delle donne nigeriane le ragazze albanesi sono ancora più giovani; devono essere belle, esili e ingenue per soddisfare anche i clienti più esigenti. La promessa è sempre quella di una vita migliore all’estero, ma anche di un matrimonio felice con il proprio fidanzato-aguzzino. Nella mafia albanese, soprattutto nelle regioni del nord dove i clan mafiosi e la politica si confondono, vige una legge antica, il Kanun. Si tratta di un codice di comportamento vecchio più di cinquecento anni che ancora influenza la cultura albanese e che sancisce una disparità tra uomo e donna.

Libro Terzo (il matrimonio),

art. 12

I diritti della ragazza La ragazza, anche se non ha vivi i genitori, non è libera di provvedere al proprio matrimonio; questo diritto spetta ai suoi fratelli od ai suoi congiunti. La ragazza non ha diritto:

  • di scegliersi il marito, e perciò deve accettare quello al quale è stata promessa;
  • d’ingerirsi nella scelta del mediatore, né in ciò che concerne il fidanzamento;
  • d’interessarsi delle calzature e di vestiti.

art.30

“la donna è un otre, fatto solo per sopportare”

art. 33

I diritti del marito sulla moglie Il marito ha diritto:

  • di consigliare e correggere la moglie;
  • di bastonarla e legarla, quando disprezza le sue parole e i suoi ordini.
La prostituzione è una schiavitù che strappa giovani vite alla libertà.

La mafia albanese ha però negli anni cambiato il prototipo delle sue vittime, quando le ragazze scomparse sono diventate troppe ha spostato i suoi interessi verso i Balcani, dove la povertà e la necessità diventano l’oggetto su cui far leva. A differenza delle ragazze albanesi che con i propri schiavisti costruiscono delle relazioni, le ragazze dell’est solo solamente merce di scambio del mercato nero alla mercé di sconosciuti.

In ogni tipo di sfruttamento ha un ruolo fondamentale la fiducia verso il proprio aguzzino e la speranza verso una vita nuova e diversa nel paese delle seconde possibilità, l’Italia. Ma quando la fiducia viene spezzata in un modo così crudo ricostruirla è drammatico ed è per questo che gli operatori di strada lavorano costantemente sulla creazione di una relazione che dev’essere edificata mattone su mattone.

Il cuore di queste donne si ricopre spesso di una coltre di ghiaccio, si infreddolisce, le rende immuni alla violenza. Un meccanismo di difesa che le protegge dalla totale distruzione e ripudio di sé. La prostituzione è effettivamente una violenza legittimata, un tabù di cui poco si parla e poco si conosce. Un’atrocità che nasconde in sé le storie di milioni di vite spezzate, per soddisfare i bisogni di una società che si arroga il diritto di mercificare una vita umana.


FONTI

Albania.volontariaiutamondo

Sulromanzo

Luleonlus.it

Assistentisociali

Assistentisociali2

Luleonlus2 :

  • Fiori di strada(2002)
  • Il cliente della prostituzione(2001)

CREDITS

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