Etnomedicina: dove scienza e magia s’incontrano

Ci siamo sempre crogiolati nell’illusione di essere nel giusto. Non importa quali coordinate spazio-temporali voi vogliate scegliere, se in esse sono presenti esseri umani, state pur certi che riterranno le loro convinzioni, usanze, criteri, modi di agire, credenze, migliori rispetto a qualunque altra; e i più intelligenti di loro sapranno anche dirvi il perchè. È sicuramente vantaggioso crogiolarsi nell’idea che i paradigmi secondo i quali la nostra identità ha preso forma siano quelli “migliori”, e presi dal tentativo di cavalcare gli tsunami che la vita ci manda addosso ci vuole molto coraggio per pensare di smontare la nostra piccola zattera. L’Etnomedicina nasce col presupposto di dover abbandonare questa innata presunzione, e dare uno sguardo scevro di pregiudizi alle conoscenze mediche che culture millenarie hanno tramandato fino ai giorni nostri.

La sensazione generale è che l’approccio biomedico moderno sia meno interiorizzato, godendo di meno fiducia, rispetto alla medicina tradizionale presso la popolazione mondiale. In effetti Il 70 % degli abitanti del pianeta fa essenzialmente ricorso alla medicina tradizionale, ossia piante e rituali, per soddisfare i bisogni di salute primaria (Farnsworth, 1989). Questo e altri dati hanno portato a un aumento dell’interesse scientifico nei confronti delle possibilità terapeutiche di questi sistemi sanitari tradizionali. Tanto che L’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) nel 1978, in seno alla Conferenza internazionale sull’assistenza sanitaria di base, ha lanciato il Programma Medicina Tradizionale, aprendo così alla possibilità a un interscambio fra sistemi sanitari locali e sistema sanitario internazionale.

Interscambio con la finalità di integrare all’interno del sistema di cura moderno quei medicinali a base vegetale di efficacia comprovata. Ai più scettici basta ricordare che oltre un quarto dei farmaci più venduti negli Stati Uniti d’America contiene principi attivi estratti da piante. È un’integrazione necessaria soprattutto per quelle nazioni in cui la maggior parte della popolazione non ha accesso pieno accesso alle cure moderne. E dal momento in cui i test dei farmaci chimici producono una molecola per la terapia su 30.000 (Pelt, 1990) è indispensabile lasciare aperta la banca dell’etnofarmacologia che, con le sue 300.000 fanerogame, i suoi funghi e le sue alghe rappresenta il più grande serbatoio di materie prime medicamentose potenziali del mondo.

Sciamano peruviano alle prese con una cerimonia

Ma le medicine tradizionali si connotano anche per qualcosa di più che le loro piante guaritrici. Antonio Scarpa, antropologo, è stato uno dei primi ricercatori nel campo dell’etnomedicina e ha portato alla luce terapie in cui l’oggetto fisico (piante, funghi, minerali) è solo una delle componenti della cura dalla malattia. Riti mistico-religiosi conosciuti dalla figura del medico guaritore sono altrettanto fondamentali in queste culture per la cura del malato. La totale fiducia del malato nei confronti dello sciamano e alle tradizioni della società permette a riti simbolici di avere una effettiva efficacia tramite quello che viene chiamato effetto placebo. Quando la tua mente è convinta profondamente che grazie a quella cura starà meglio è facile che tu ti senta seriamente meglio.

Tutto ciò sembra possibile in una realtà in cui la terapia non viene considerata solo come un affare privato fra medico (sciamano) e paziente, dove il professionista fornisce semplicemente un qualcosa di curativo al malato, ma piuttosto come un processo sacro e millenario di reintegrazione della persona all’interno della sua società dalla quale si sentiva emarginato a causa della malattia. Prende così forma uno dei concetti fondanti dell’etnomedicina riguardante l’esistenza di sindromi patologie e terapie legate alla cultura e osservabili solo all’interno di determinati contesti culturali e non altrove. In poche parole se il rituale di guarigione dove si ricerca la pace perduta con uno spirito praticato dagli sciamani Tamang in Nepal è davvero efficace per una persona del loro popolo, magari affetta da quella che noi chiameremmo depressione clinica, è improbabile che lo possa essere per noi occidentali.

Questi molteplici lati delle medicine tradizionali rendono l’etnomedicina una materia di studio in cui aspetti più propriamente scientifici si mischiano a fattori socio-culturali e psicologici rendendola piena di sfaccettature e anche per questo ancora più interessante.


FONTI

Medicinaumana

Palazzodelparco

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