Il racconto dell’ancella – una distopia anti-femminile

Il racconto dell’ancella è un romanzo distopico del 1985, ambientato in un futuro prossimo post apocalittico regolato da rigidissime regole cristiane. Tutto il romanzo di Margaret Atwood è fondato sull’idea esposta nel seguente passo della Genesi:

Rachele, vedendo che non le era concesso di procreare figli a Giacobbe, divenne gelosa della sorella e disse a Giacobbe: «Dammi dei figli, se no io muoio!».
Giacobbe s’irritò contro Rachele e disse: «Tengo forse io il posto di Dio, il quale ti ha negato il frutto del grembo?».
Allora essa rispose: «Ecco la mia serva Bila: unisciti a lei, così che partorisca sulle mie ginocchia e abbia anch’io una mia prole per mezzo di lei».
Così essa gli diede in moglie la propria schiava Bila e Giacobbe si unì a lei. (Genesi 30,1-4)

Scena tratta da un episodio di The Handmaid’s Tale, serie tv ispirata al romanzo distopico di Atwood.

Quella che era una società del tutto simile a quella in cui viviamo oggi viene stravolta in base a questi principi: alle donne viene tolto ogni tipo di proprietà ed esse diventano degli oggetti destinati al possesso degli uomini. Il loro unico compito è quello di garantire una discendenza ai Comandanti, uomini potenti ma in là con l’età, che hanno la sfortuna di avere mogli troppo anziane per poter generare figli. La protagonista di questo romanzo è proprio una di queste donne, un’ancella, costretta a sottoporsi a periodici e umilianti incontri sessuali, tutti rigorosamente sorvegliati dalla moglie del comandante, nella speranza di rimanere incinta e salvare così il proprio prestigio sociale e quello della famiglia a cui era stata assegnata.

Margaret Atwood, scrittrice canadese, autrice de “Il Racconto dell’Ancella”

Il romanzo di Margaret Atwood è estremamente crudo e angosciante. L’unica visione del mondo che ci viene data passa attraverso gli occhi dell’ancella, occhi a loro volta limitati nella loro libertà d’azione dalle velette che appartengono all’uniforme delle ancelle. Nella narrazione della Atwood non c’è spazio per la speranza, ma solo per una cupa rassegnazione, identica a quella che investe la protagonista per quasi tutta la durata del libro: essa, dopo la fondazione del nuovo stato di Gilead viene educata a dimenticare ogni ricordo della sua vita precedente e a considerare un onore il proprio compito di “contenitore vuoto” in attesa di essere riempito dal “seme benedetto”. In questo universo così rigido, ristretto e votato all’annullamento della persona, l’unica speranza sembra davvero essere un figlio, anche se generato in un modo umiliante per l’ancella (che viene considerata poco più che un oggetto) , per la moglie (che deve condividere il marito con un’altra e a cui viene negata la definizione di “donna” in senso stretto) e per il comandante stesso (che probabilmente sa di non poter generare figli a causa dell’età, ma che è comunque costretto a provarci).

Il risultato degli sforzi letterari di Margaret Atwood, seppur paradossale e volutamente portato all’estremo, risulta ancora estremamente attuale. L’autrice nella creazione del suo romanzo si è ispirata a un passato neppure troppo lontano, governato da severissime regole cristiane e in cui la donna era percepita come nettamente inferiore all’uomo e di sua esclusiva proprietà. Nell’insieme si tratta di una lettura angosciante, ma che fa riflettere ed evidenzia le conseguenze di certi comportamenti maschilisti portati al proprio estremo.

 


 

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