Pia come la canto io

In principio è Dante:

“Deh, quando tu sarai tornato al mondo,
e riposato de la lunga via”,
seguitò ‘l terzo spirito al secondo,

“Ricorditi di me, che son la Pia;
Siena mi fé, disfecemi Maremma:
salsi colui che ‘nnanellata pria

disposando m’avea con la sua gemma”.
(Purgatorio V, 130-136)

La richiesta è di Pia de’ Tolomei, uno dei personaggi femminili che Dante incontra nel suo viaggio ultraterreno. Quando la incontra, il Poeta sta attraversando l’Antipurgatorio: è il quinto canto, identificato come quello del corpo. Le anime, che all’arrivo di Dante stanno intonando il Miserere, sono morte di morte violenta e si sono pentite solo in fin di vita.

Tutto il canto è percorso da una febbrile eccitazione: le anime desiderano parlare con Dante, unico ponte con il mondo dei vivi.
Tre i personaggi che si presentano al Poeta: ai primi due, Dante concede più di venti versi ciascuno, all’ultimo soltanto sette.

Questi ultimi appaiono una parentesi delicata, che stempera in un tono elegiaco la baldanza e il movimento incalzante degli incontri precedenti. L’anima, identificata con la figura storica di Pia de’ Tolomei, chiede a Dante di ricordarsi di lei, alla fine del suo viaggio, una volta tornato sulla Terra: nata a Siena e morta violentemente in Maremma, come sa l’uomo che, “inanellata”, l’aveva chiesta in sposa. L’accusa di Pia al marito è velata, pare scevra di risentimento o di biasimo.

Le ipotesi storiche e biografiche sulla donna sono molte, e in questa moltitudine rimane solo l’incertezza sulla causa della sua morte.
Secondo alcuni commentatori, il marito avrebbe fatto assassinare Pia de’ Tolomei, forse facendola gettare da una finestra, forse per la scoperta della sua (mai provata) infedeltà, forse per vendetta, forse desiderando un nuovo matrimonio. Spesseggiano i forse. Dante, diversamente da noi, conosceva la causa esatta dell’omicidio?

La concisione cronachistica delle parole di Pia vuole rimarcare la sua innocenza, scusare il marito per averla assassinata, o, ancora, alludere al conservarsi del suo amore per lui?

È Pia de’ Tolomei a rimanere vaga, o è Dante che ci invita a una personale interpretazione, a compiere un viaggio nel viaggio?

Certo è che questa nebulosità ha fatto la fortuna di un personaggio che scambia con Dante poche -dolcissime- parole.

 

2007. Gianna Nannini intitola il suo album “Pia come la canto io”. La musa è la stessa di cui abbiamo scritto fino ad ora.

È il fatto che Siena fosse stata culla sua, come di Pia de’ Tolomei, a ispirare la Nannini?
Non è neanche da escludere che la preferenza della cantante, pruriginosa e provocatrice, sia andata sulla carnalità del canto dantesco. O c’è in lei l’attrazione per il binomio Eros-Thanatos?

Il mormorio delle terzine dantesche si trasforma in note rock.
La Pia come la canta lei è una donna nostalgica d’amore. Non c’è nel testo della Nannini un sentimento religioso, manca quella faccenda complicatissima che è il perdono. Non manca, invece, un “amore nonostante tutto”. Ecco che Pia ricorda -o invoca- l’abbraccio del marito.

Torna, sento già la tua luce nell’anima.
Sei qui con me, sono le braccia tue che stringo.
Per quanti mesi e notti e giorni,
non saprei dire, non lo so ma questo è certo:
ci fu l’inverno, poi primavera,
la vita torna nel castello ma non per me.
Guarda se ne va questo sogno di te.
Là batte l’onda e un cavallo galoppa.
Ma l’amore, il nostro amore, marcisce dietro a questa porta.
(Gianna Nannini, Dolente Pia)

Pia de’ Tolomei non immaginava (e Dante neanche, forse) che una cantante, svariati secoli dopo, avrebbe accolto quella sua richiesta remota e pudica: di essere ricordata tra i vivi. Forse per la legge del contrappasso, a Dante tanto cara, la pacatezza di Pia si fa canto, grido e disperazione, in una espressione rauca e profonda.

 

Musica e letteratura. Poesia e poesia. L’arte si nutre di arte. Come in una storia ciclica. Una storia vichiana di reincarnazioni, metamorfosi e richiami. Una ricerca famelica di visioni antiche e sempre nuove.


 

 

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