I racconti non si vendono! Eppure piacciono …

Ci sono alcune tipologie di libri che sono scomparse dalla circolazione, non cercatele sugli scaffali in vista nelle librerie, non le troverete. E sapete perché? Semplice, non vendono! Si sta parlando delle raccolte di poesie e di racconti. Ah, certo, troverete sicuramente tutte le raccolte di Stephen King o di Charles Bukowski.

Ma un autore che non è ancora affermato e famoso, non otterrà mai un contratto per le sue raccolte, soprattutto non in Italia. Questo non vuol dire che i racconti non piacciano agli editori, anzi: è uno dei generi che preferiscono, tanto che ci sono alcune case editrici che hanno puntato tutto su questo genere, come ad esempio “RaccontiEdizioni” sulla cui homepage si legge:

“Eppure il racconto sembra identificarsi come la forma letteraria tipica della contemporaneità. […] Da parte nostra più leggiamo e più scorgiamo nei (nostri) racconti nient’altro che pura letteratura, pura narrazione.”

Anche Rossella Milone, sull’Internazionale, ha affrontato l’argomento. Uno scrittore parlando con l’editore che si è dimostrato interessato alle sue opere, se non ha scritto un romanzo ma una raccolta di racconti si sente in dovere di giustificarsi, in qualche modo, come se il suo fosse un romanzo mutilato. Lo stesso Tullio Dobner, traduttore ufficiale di Stephen King in Italia, ha scritto una raccolta di racconti (“I libri che perdevano le parole“), che ha venduto pochissimo. Eppure la nostra letteratura più tradizionale è fatta anche di grandi autori che hanno scelto questa forma narrativa per raccontare le loro storie, anzi, è dalla notte dei tempi che il racconto è una delle forme preferite di narrazione, addirittura alla base di certe culture!

Dunque la domanda è: perché? Come mai è un genere che non attecchisce? È vero che negli scaffali delle librerie sono anche molto difficili da trovare e questo crea un circolo vizioso per cui i racconti non si vendono, dunque non si vedono e di conseguenza vendono ancora meno. Ed è anche vero che i premi letterari più importanti del Bel Paese non premiano una raccolta di racconti dai “Sessanta Racconti” di Buzzati (Premio Strega 1958).

Cercando tra i vari forum, nei blog, in molte delle discussioni su internet, si trova, contrariamente a quanto ci si possa aspettare, un certo grado di gradimento e in alcuni casi addirittura di preferenza del genere del racconto rispetto al romanzo. Si dice che sia la forma narrativa del ventunesimo secolo per la velocità con la quale si può leggere, senza doversi preoccupare troppo di mettere in stand-by la vita frenetica caratteristica del nuovo millennio. Tuttavia, questa è una motivazione superficiale.

Un racconto breve è come un bacio di uno sconosciuto nell’oscurità

In realtà scrivere un racconto è molto più complicato che scrivere un romanzo: ogni parola deve essere scelta, studiata, analizzata fin nei minimi dettagli. Provate a pensare ai premi letterari che danno un limite di caratteri, ad esempio, 4000 battute spazi inclusi. È uno spazio piccolissimo! Appena una pagina di un foglio A4. Ecco, in questo foglio un bravo scrittore di racconti deve riuscire a far affezionare il lettore ai personaggi (sempre pochi in questa forma letteraria), a caratterizzare gli stessi, a creare empatia e partecipazione, a raccontare una storia dall’inizio alla fine. Ogni singolo vocabolo utilizzato deve essere funzionale alla storia e essenziale ai fini della narrazione. Si inizia a capire come mai scrivere racconti di successo non è facile come sembra. La forma del racconto, se ben fatta, diventa più facilmente letteratura proprio per questa sua cura estrema. Quindi bisogna sfatare un mito: i racconti non sono di lettura veloce. O meglio, lo sono fino a un certo punto: si devono rileggere più e più volte per poterne cogliere le sfumature e i significati a vari piani di lettura. Certo, un lettore pigro potrebbe preferire la forma breve per non essere preso dal senso di colpa che lo assale quando non riesce a finire un romanzo, o simili; ma un lettore volenteroso, invece, potrebbe essere attratto di più da questa brevità per la densità di significato nascosta in poche righe. Tra l’altro, leggere un racconto tutto d’un fiato è necessario dato che il finale è la parte più importante e più pregna di significato, dove i nodi si sciolgono e si capisce dove si vuole andare a parare. Dovrebbe essere sottinteso che una forma di scrittura che richiede così tanta meticolosità richiede anche al lettore molto più ragionamento di qualsiasi altra. Prendete un racconto qualsiasi di Dino Buzzati: vi sfido a non sentirvi disturbati e ansiosi a ogni finale. E come ci riesce? Fate caso a ogni parola usata, è stata sicuramente scelta con attenzione.

Dunque ci si deve porre un altro tipo di domanda: a chi interessano i racconti? Ai lettori che sono disposti a fare uno sforzo in più e a prestare maggiore attenzione. E per far sì che questo avvenga bisogna che i lettori siano educati alla lettura stessa. Fortunatamente le varie piattaforme di scrittura vivono proprio di racconti e dunque è un genere che sta tornando di moda, almeno online. Dunque, cari lettori, spulciate le librerie, trovate le raccolte di racconti, anche di autori sconosciuti se ci riuscite, e compratele. Mettetevi alla prova!

“I racconti sono come le ciliegie: uno tira l’altro”


Fonti:

 

 

 

 

 

 

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