Uomini che picchiano le donne: film italiani da condannare o da assolvere?

La Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne cade il 25 novembre di ogni anno a partire dal 17 dicembre 1999, data in cui l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha posto la ricorrenza.
Novembre è il mese in cui ognuno di noi dovrebbe discutere un po’ di più delle diverse forme che può assumere la prevaricazione sul genere femminile. Tuttavia, sarebbe opportuno che ciascuno aprisse bocca nei limiti delle proprie competenze, ed è quello che questo articolo si impegna a fare: non si tratta di un pezzo di psicologia. Non ha un valore educativo. Qui si parla di spettacolo, e di spettacolo parleremo.

Il cinema italiano è l’imputato al banco, e la sua accusa riguarda proprio la pericolosa superficialità nella trattazione della violenza contro le donne. Messi al vaglio i film pre 1999, abbiamo tessuto un fil rouge di soprusi fisici e psicologici su individui di sesso femminile, inermi, all’interno dell’ambito della famiglia e dei conoscenti. E, quella che a noi sembrerebbe la gravante più sconvolgente, tutti messi in scena in una cornice innegabilmente comica.
Questi elementi sono tuttavia insufficienti ad azionare subito la ghigliottina: per quanto sembrino determinare già una condanna certa, si deve guardare in faccia il sospettato. È quando lo si riconosce in una pietra miliare della storia artistica nazionale, che il processo si fa più complesso: esaminiamone tre in particolare.

Ugo Fantozzi: il ragioniere più famoso d’Italia, ideato e interpretato da Paolo Villlaggio, per quanto personaggio remissivo e servile non si fa scrupoli ad alzare le mani sulle donne soprattutto in Fantozzi subisce ancora (1983). Al di là di una sciocchezza come scaraventare una suora giù dalla tromba delle scale, celebre rimane la sua incarnazione dell’ideale del padre moderno nel momento in cui scopre che Mariangela è rimasta incinta. Fantozzi raggiunge la ragazza terrorizzata in camera da letto, e una volta chiusa la porta alle sue spalle dirige un’orchestra di mazzate e urla: viene interrotto dall’arrivo della moglie Pina, ma non prima di sferrare il suo ultimo colpo, spaccando una sedia sulla schiena della figlia. Minorenne. Gravida.

Alberto Sordi: uno dei cosiddetti “mostri della commedia all’italiana”, sarebbe definibile come mostro e basta in Amore mio aiutami (1969). Il film da Sordi scritto, diretto ed interpretato, è di genere drammatico e racconta la crisi matrimoniale tra il protagonista Giovanni e la moglie Raffaella, innamoratasi di un altro uomo. Il confronto tra i due culmina su una spiaggia, in una scena tanto estrema da essere volutamente paradossale, e quindi con intento comico: lei, infantile e capricciosa, si ostina ad amare l’altro, lui non si trattiene più e la riempie di schiaffoni. La insegue, le tira i capelli, la percuote fino a farle uscire sangue da naso, senza che la moglie neanche provi a rispondere. Così, per farle passare la cotta.

 

Lina Wertmüller: è stata la prima donna ad essere candidata all’Oscar come migliore regista nel 1977 per Pasqualino Settebellezze. Tuttavia, Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare di agosto (1974) è il suo film che più viene programmato in televisione, e la commedia cui gli italiani sono più affezionati. Raffaella (curiosa casualità di nomi), ricca borghese anticomunista, è solita passare le vacanze sul suo yatch e maltratta i marinai alle sue dipendenze, tra cui il rozzo siciliano comunista Gennarino. Lui aspetta solo di trovarsi perso su un’isola deserta assieme a lei per avere la sua rivalsa: ridurre “la padrona” a propria schiava personale, umiliandola, picchiandola e violentandola. Finché fra i due scoppia l’amore.

Cosa farne dunque di queste pellicole? Le condanniamo a una damnatio memoriae? Disconosciamo i padri del nostro cinema e ce ne andiamo di casa sbattendo la porta al grido di “istigatori alla violenza”? “Sessisti”? Diamo a una femminista quale la Wertmüller della “donna che odia le donne”?
Nel 2017 il ragionier Fantozzi, Giovanni e il marinaio Gennarino ci mettono a disagio: da una parte siamo tirati da una nuova più chiara sensibilità sul tema della violenza di genere, dall’altra questi personaggi sono i protagonisti. E in una buona sceneggiatura, il protagonista è vincente se lo si rende invitante allo spettatore, tanto da suscitare empatia. Fantozzi subisce ancora, Amore mio aiutami e Travolti da un insolito destino ecc. sono pellicole di successo che ancora oggi fanno ottimi ascolti, se non stellari. Questo significa che in quei protagonisti lo spettatore si è riconosciuto e si riconosce tuttora.

Lo spettatore sta ora al banco degli imputati. Come può giustificare il suo consenso alla violenza, tanto da percepirla come comica? Il motivo è quantomai arcaico e si può riassumere in un termine che va alle radici della civiltà occidentale: catarsi.
La rappresentazione del male costituisce il mezzo di purificazione dello spettatore, che assistendo a un atto violento beneficia del suo effetto liberatorio. Nei tre film esposti tutti gli uomini che finiscono per sopraffare le donne sono portati allo stremo dalle stesse o dalle condizioni esterne, e lo spettatore percepisce la pressione del protagonista: vederlo sfogarsi costituisce per chi guarda una valvola di sfogo.
È un meccanismo vecchio quanto la commedia greca di Aristofane, in cui le bastonate volavano per uomini, donne e bambini senza requie e scrupolo: l’ateniese del V-IV secolo accoglieva la violenza e ne era sollevato, così come l’italiano di oggi, perché non era reale. Era finzione nel teatro, è finzione oltre lo schermo.

La Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne si è assunta l’onere e l’onore di sensibilizzare l’opinione pubblica e infilare le mani nella melma delle prevaricazioni, dei crimini e dei pregiudizi al fine di estrarne quante più vittime possibili: salvare chi subisce e rieducare chi agisce. Ma per quanto la civiltà possa progredire, l’essere umano, nella sua totale neutralità di genere, non potrà mai negare i bassifondi costitutivi della propria natura.

Kubrick sintetizzava bene il lato oscuro dell’uomo in violenza e sesso, forza distruttiva e creativa insieme: liberarlo è un pericolo per sé e per gli altri, esorcizzarlo costituisce un rischio equiparabile. Portarlo alla luce è l’onere e l’onore dello spettacolo e, più in generale, dell’arte.

 

 

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