“Il mio Godard”: le contraddizioni di un mito tra caricatura e omaggio

Parigi, 1968: anno di una rivoluzione dei costumi e di fermento sociale senza precedenti. Nel mondo culturale francese è il periodo della radicalizzazione politica di Jean-Luc Godard, regista simbolo della Nouvelle Vague. Svolta artistica e personale annunciata da La chinoise, film sulla rivoluzione maoista uscito l’anno precedente.

Questo è il Godard raccontato ne Le redoutable di Michel Hazanavicius: non il giovane critico e cineasta, ma l’intellettuale ossessionato dall’impegno politico. Borghese diventato filocomunista, si unisce alle proteste in place de la Bastille e ai dibattiti studenteschi alla Sorbona.

Il mio Godard, titolo italiano di Le redoutable, esplicita il legame con la fonte del film, il libro Un an après di Anne Wiazemsky, ex (giovanissima) moglie del regista e nipote del grande scrittore François Mauriac. ll punto di vista della compagna è il filo conduttore, e Stacy Martin è deliziosa nel suo ruolo di fidanzata paziente del genio narcisista.

Il tono del film è ironico, dissacrante e tutt’altro che ossequioso. L’interpretazione di Louis Garrel è in perfetto equilibrio tra parodia e omaggio divertito. Il Godard di Hazanavicious è un intellettuale un po’ snob, perennemente lamentoso, infastidito dalle masse che amano i suoi film più celebri, quelli meno impegnati. Ostinato nella sua nuova visione di cinema politico, sofisticato e cerebrale eppure ancorato alla realtà di questi anni turbolenti. Un artista unico nelle sue contraddizioni: borghese ma comunista, serioso e volte sciocco, schivo e polemico.

Il mio Godard non è un biopic, non è il racconto delle riprese di un film. Hazanavicious ha scelto il segmento perfetto della vita di un‘icona, che coincide con un periodo affascinante della storia europea. Ovviamente, questo ritratto umoristico di un mito del cinema ha fatto storcere il naso. A Cannes è stato criticato, quest’oltraggio a Sua Maestà “JLG”, come lo chiamano in Francia, patria cinefila che lo venera.

Il film non è sicuramente un documento storico, non è il racconto dell’evoluzione artistica di Godard, ma è divertente e visivamente piacevole. E poi l’idea di fare un film su un regista ancora in vita ma già “santificato” è da elogiare. Magari chi conosce poco il cinema francese vorrà saperne di più di questo personaggio un po’ burbero, misantropo. Godard è un autore classico, centrale nella storia del cinema, ma di certo non popolare.

Certi dialoghi del film ricordano una figura forse più familiare: il Woody Allen nevrotico di Annie Hall e Manhattan, con le sue chiaccherate intellettuali sull’arte e sull’esistenza. In effetti, è Allen a ispirarsi a Godard. Ma sicuramente lo spettatore medio conosce Midnight in Paris e non À bout de souffle e Le Mépris.

FONTI

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