Come raccontare una storia: un problema di punti di vista

Alcuni dei più grandi problemi durante la narrazione sembrano essere relativi ai punti di vista. Quante volte capita di dimenticarsi che si è scelta la voce di un personaggio interno alla storia per raccontare, e quindi escono fuori frasi del tipo “Mentre guardavo Marco lui pensava al suo gatto“. Come fa il personaggio parlante a sapere a cosa pensa Marco? A meno che non gli si dia il potere di leggere la mente, questo è un errore. Dunque, in questo articolo si intende dare dei piccoli consigli per non incappare in errori simili.

Innanzitutto, bisogna scegliere la storia che si vuole raccontare. Per ogni scrittore esordiente, attenersi a “La Poetica” di Aristotele è un ottimo inizio: in qualsiasi racconto, romanzo, o sceneggiatura, c’è uno schema da rispettare che consta di una situazione iniziale, un avvenimento che rompe l’equilibrio, le peripezie, un climax in cui si arriva alla massima tensione, e una conclusione, in una struttura piramidale. Una volta deciso, per grandi linee, come sviluppare il racconto tenendo a mente tale schema, bisogna decidere qual è il punto di vista più congeniale sia all’autore che al lettore, quale può risultare più avvincente senza mettere in difficoltà lo scrittore. Qui bisogna fare due divisioni: il punto di vista interno e il punto di vista esterno possono essere i due grandi insiemi che al loro interno contengono piccoli sottoinsiemi. Partiamo dal punto di vista esterno, e diamo una semplice definizione di un narratore che tutti conoscono poiché lo hanno studiato a scuola: il narratore dei “Promessi Sposi” è esterno, eterodiegetico e a focalizzazione zero. Nel dettaglio: eterodiegetico vuol dire che è esterno alla vicenda, completamente non coinvolto nella storia, a focalizzazione zero significa che controlla tutti i personaggi, sia nei pensieri che nelle azioni; il narratore dell’opera manzoniana è di conseguenza anche onnisciente.

Quando si parla di punto di vista interno, il discorso si complica: ci sono molteplici possibilità, e qui si illustreranno il punto di vista del protagonista e quello di un altro personaggio interno alla storia. Nel primo caso, è necessario tenere sempre a mente chi si è scelto per narrare: come detto sopra, il protagonista che narra in prima persona non può sapere cosa pensano gli altri personaggi né, ad esempio, di che colore ha il volto in determinate situazioni. La descrizione didascalica è fortemente sconsigliata per non annoiare a morte il lettore. Dunque ecco alcuni trucchetti: per descrivere un protagonista basso, non è necessario dire “Sono alto un metro e sessanta“, ma “Devo prendere uno sgabello per arrivare alla seconda mensola in cucina e prendere il sale“. Meglio, no? Ci sono anche altri escamotages per dare un’idea di come sia il personaggio, quali lo specchio (il più banale), il riflesso nell’acqua, e simili. Un esempio di narratore interno, intradiegetico (interno alla storia), a focalizzazione interna (il narratore sa solo ciò che sa il personaggio di cui ha scelto il punto di vista) è la “Divina Commedia” dantesca.

Se invece si sceglie il punto di vista di un personaggio secondario e non del protagonista, Conan Doyle è l’autore più calzante: Sherlock Holmes, sebbene sia il protagonista, viene visto solo e soltanto attraverso gli occhi di Watson, e così lo vede il lettore, provando le stesse sensazioni che Watson descrive. Dove sarebbe il divertimento, altrimenti, se si conoscessero tutti i pensieri di Sherlock e di conseguenza anche tutte le soluzioni dei casi? Watson è il tipico narratore testimone.

Il trucco, in tutti i casi, è tenere bene a mente il personaggio che sta parlando e descrivere gli eventi come se si stesse assistendo ad essi. Un buon esercizio potrebbe essere descrivere la stessa scena dal punto di vista del protagonista, di un altro personaggio e del narratore esterno onnisciente. Buona scrittura!


FONTI
Fonte 1: Dalia Edizioni, Corsi di Scrittura 2017.
Fonte 2 Marco P. Massai, “Scrivere narrativa 2, il punto di vista“, Delos Digital, 2014.


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