Il mito di Amore e Psiche raccontato dagli artisti

Quella tra Amore e Psiche è una delle storie d’amore più note della mitologia greco-romana, raccontata anche da Apuleio nella sua opera Le Metamorfosi; la storia narra della bella mortale Psiche che con la sua eleganza e avvenenza fece infuriare la dea dell’amore Venere (o Afrodite); quest’ultima, per punirla per l’insulto arrecatole, le inviò il figlio Eros (o Amore) con il compito di farla innamorare dell’uomo più brutto al mondo grazie all’aiuto delle sue frecce, ma appena il giovane dio posò gli occhi sulla giovane se ne innamorò. Deciso a salvarla dall’ira materna, Eros la rapì e la portò nel suo palazzo dove, infine, la sposò, costantemente, però, nascondendole il suo vero volto per evitare che la madre lo scoprisse.

Psiche, curiosa di capire se suo marito fosse un mostro, una notte prese una lampada e la avvicinò al volto di Eros. Egli si svegliò e, atterrito, comprendendo ciò che Psiche aveva fatto, scomparve. Rimasta sola la giovane decise di andare da Venere, per chiedere il suo perdono e poter continuare a vivere con suo marito, ma la dea, ancora adirata per il tradimento del figlio, diede a Psiche un compito delicato e palesemente impossibile per una mortale: prendere un’ampolla di essenza del sonno profondo da Persefone, la signora degli inferi. Psiche portò a termine il compito, ma, spinta dalla sua irrefrenabile curiosità, aprì l’ampolla e cadde addormentata. Fu allora che Eros scese dall’Olimpo e risvegliò la sua amata sposa grazie anche all’intervento di Zeus, che fece diventare Psiche la dea delle fanciulle e pose definitivamente fine all’ira di Venere.

La storia di Amore e Psiche ha scatenato la fantasia di molti pittori, scultori e artisti che nelle loro opere rappresentarono vari episodi del mito, in quanto la vicenda mitologica si prestava ad essere oggetto di scenari romantici ed evocativi. Molte di queste risalgono al periodo del Rinascimento italiano quando il testo di Apuleio venne riscoperto e gli artisti cercavano nuove vicende da raccontare nelle loro opere.

Tra i tanti artisti che trasportarono nelle loro opere il mito di Amore e Psiche si può citare l’affresco che Giulio Romano dipinse tra il 1524 e il 1534 per la Sala di Amore e Psiche a Palazzo Te a Mantova: gli episodi della storia iniziano con la raffigurazione di Venere adagiata sopra un carro trainato da cigni, mentre indica ad Amore la fanciulla Psiche con il preciso compito di punirla. L’intreccio culmina con il riquadro al centro del soffitto, dove Giove unisce in matrimonio Psiche e Amore.

Anche Raffaello si interessò al mito di Amore e Psiche trasportandolo nei suoi affreschi per la loggia di Villa Farnesina in Roma, nota proprio come Loggia di Psiche, dove l’artista di Urbino dipinse assieme ai suoi allievi la storia scritta da Apuleio ne Le Metamorfosi.

Sin dal Rinascimento il mito di Amore e Psiche continua ciclicamente ad essere rappresentato da differenti artisti nelle più varie versioni, come quelle dipinte da William-Adolphe Bouguereau, pittore francese della fine dell’Ottocento, che dedicò molta attenzione al mito, come testimoniano i suoi quadri Amore e Psiche (1889) e Il rapimento di Psiche (1895); conosciute anche le versioni di Amore e Psiche del 1612 di Peter Paul Rubens e Jacques Louis David del 1817.

Quando si parla di opere d’arte che raccontano la personale versione dell’artista sulla vicenda d’amore di Cupido e Psiche, non si può non citare una delle più famose opere dell’artista Antonio Canova: il gruppo scultoreo intitolato Amore e Psiche attualmente conservato al Louvre.

L’opera di Antonio Canova è stata realizzata in tre differenti versioni, ma la prima, che fu realizzata fra il 1788 e il 1793, rimane quella più conosciuta dal pubblico; si tratta di un complesso scultoreo in marmo bianco che rappresenta il dio Amore nell’istante esatto in cui, prima di baciare Psiche, contempla il volto dell’amata. Qui l’artista ferma nel marmo quel momento che sembra eterno: l’atto precedente al bacio.

Nella posizione dei corpi scelta dall’artista si può intuire la sua intenzione di rappresentare un momento carico di tensione, di passione e sensualità. Questa tensione amorosa sembra fermare un’istante così breve per l’eternità, come se Canova avesse voluto donare ad Amore e Psiche la possibilità di contemplarsi all’infinito. L’eleganza della posa, la dolcezza di Eros nel sorreggere il capo dell’amata e l’abbandono totale del corpo di Psiche, in attesa del bacio del suo sposo, rendono la scultura di Canova un’opera immortale che fissa nella mente dello spettatore una delle più belle e dolci storie d’amore della mitologia.

Così quando la terra riceverà il nostro abbraccio, andremo confusi in una sola morte, e vivere per sempre l’eternità di un bacio”. (P.Neruda)


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