Green Day: le origini di un folgorante successo

“When John first told me about Billie and Mike, he was like: Man, I found this kids, they’re like the punk-rock Beatles, man! They are so cool […] And then… He was right!”.

(Tré Cool, Green Day: The Early Years (Full Documentary), 2017).

In molti possono affermare di sapere approssimativamente chi siano i Green Day, ma pochi conoscono davvero le origini del celebre trio californiano. Quando la punk-rock band torna alla ribalta nel 2004 con American Idiot, facendosi portavoce di una generazione post 11 settembre disillusa e paralizzata, ha già alle spalle una solida carriera, ben lontana da tormentoni quali Boulevard of Broken Dreams.  

harley davidson shirt :)Il gruppo si forma nel 1987 ad Oakland, California, quando gli appena 14enni Billie Joe Armstrong (voce/chitarra) e Mike Dirnt (basso) fondano insieme al batterista John Kiffmeyer la loro prima band: gli Sweet Children. Billie Joe e Mike, amici d’infanzia, provengono da situazioni familiari difficili: il padre del primo, camionista di professione e musicista jazz nel tempo libero, muore di cancro quando Billie Joe ha soli 10 anni (evento che sarà ricordato, anni dopo, nella struggente rock-ballad Wake me up when september ends); Mike, figlio di madre eroinomane, cresce insieme a genitori adottivi e vede la sua infanzia segnata dal divorzio di questi. Entrambi trovano rifugio nella musica, nel punk-rock. Luogo culto della loro adolescenza è il club 924 Gilman Street: locale leggendario nella scena alternative della East-Bay, offre la possibilità di esibirsi a giovani band locali emergenti (tra cui Operation Ivy, primissima band di Tim Armstrong, front-man dei più conosciuti Rancid, ma anche NOFX e The Offspring) e, soprattutto, la sensazione ad adolescenti un po’ persi e sbandati come Billie e Mike di sentirsi finalmente accettati per quello che sono.

Una prima svolta per gli Sweet Children avviene quando decidono di firmare per l’etichetta Lookout! Records e nel 1989 registrano il primo EP; per l’occasione il trio cambia nome in Green Day, in onore di uno dei loro passatempi prediletti: passare giornate intere a fumare marijuana. Il primo, vero e proprio album dei Green Day esce nel 1991 e porta l’enigmatico titolo di 1,039/Smoothed Out Slappy Hours: si tratta in realtà di una compilation di vecchi EP della band usciti tra il 1989 ed il 1991, ovvero 39/Smooth, 1,000 Hours e Slappy. Disco punk dai toni adolescenziali, tanto per i contenuti (storie d’amore sognate, vissute e finite in drammi, frustrazioni e paranoie da liceale) quanto per il sound ancora acerbo del gruppo, ma promettente. Nello stesso periodo, John decide di lasciare la band per dedicarsi agli studi universitari e viene sostituito da un altro giovane e stravagante batterista, Frank, conosciuto meglio da tutti con il nome d’arte di Tré Cool, grazie al quale i Green Day sembrano trovare una sintonia mai conosciuta prima.  

Nel 1992 esce il loro secondo abum, Kerplunk, che riscuote un discreto successo, proponendosi  come un lavoro meglio strutturato e più vario del precedente, mentre il sound del trio diviene sempre più definito.

Yes, I am in love with 3 men that have never met me. No, I do not give a flying f**k❤️

Tuttavia, i Green Day incontrano per la prima volta il successo commerciale nel 1994 con l’uscita dell’acclamato Dookie, che segna l’inizio di una vera e propria svolta. La band sembra riuscire nell’intento (voluto o non) di portare il punk, genere di nicchia, ad un livello di fama globale: il punk diviene mainstream. La band si ritrova sulle copertine di riviste, a calcare i palcoscenici più importanti del mondo, rilasciare interviste e a vendere milioni di copie, il tutto mentre i vecchi amici e fans gli voltano le spalle e li accusano di rinnegare il loro passato underground. Ma i Green Day ormai non possono più fermarsi, si sono spinti troppo in là, tornare indietro è impossibile. La loro partecipazione a Woodstock ’94 (ne abbiamo già parlato qui nda), battaglia nel fango tra Billie Joe e fans inclusa, contribuisce ulteriormente all’affermazione del loro folgorante successo.

Altri album si susseguono nella carriera dei Green Day: Insomniac (1995), Nimrod (1997), Warning (2000), più una raccolta di singoli nel 2001, International Superhits! ed una raccolta di B-Sides nel 2002, Shenanigans, che, pur essendo lavori validi, compositi ed interessanti, non riescono a raggiungere la stessa popolarità di Dookie e portano inevitabilmente al declino della band. Fino a quando, nel 2004, non compare American Idiot, ambizioso concept-album dai toni decisamente più politici ed impegnati, che li porta prepotentemente alla ribalta.

Ma che fine hanno fatto, oggi, i Green Day? Il trio californiano, composto non più da ventenni ma da quarantenni miliardari che conservano volti giovanili e look rockettaro, continua a fare musica e a sfornare dischi (di cui l’ultimo, Revolution Radio, datato 2016). I Green Day di oggi sono un fenomeno commerciale, lontani in tutto e per tutto da quelli che erano i loro esordi, ma nel corso degli anni sono anche cresciuti, maturati, musicalmente ed umanamente, e sembrano avere ancora molto da dire. Cosa più importante, non hanno perso la voglia di divertirsi e far divertire, di far riflettere e di portare avanti quello in cui hanno sempre creduto, sin dagli albori: la libertà e la voglia di essere sé stessi.


 


 

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