QUANDO INFORMARE SIGNIFICA MORIRE: IL CASO DELLA ROSA BIANCA

Il mondo in cui viviamo è in costante evoluzione: nuove tecnologie che avanzano, televisioni interattive e instant messaging sono all’ordine del giorno. Una cosa, però, è rimasta immutata nel tempo: la comunicazione.

L’uomo, infatti, fin dal momento in cui è apparso sulla terra ha trovato un modo di comunicare. Comunicare significa essenzialmente trasmettere informazioni e questo può avvenire tra soggetto e soggetto, tra macchina e macchina, ma anche tra soggetto e macchina.

Queste informazioni possono essere di vario tipo, ci occuperemo, qui, in particolare di quelle a sfondo politico. Fin dall’antichità, ad esempio durante le guerre, si è tentato di trasmettere messaggi (anche cifrati) importanti su posizioni, strategie, status delle truppe e via dicendo. Alcuni di questi messaggi vennero anche intercettati facendo sì che il corso della storia mutasse per sempre.

Altri messaggi, invece, venivano considerati sovversivi poichè contenevano la verità (o una verità, dipende dai punti di vista) sullo stato fattuale delle cose in contesti in cui esprimere un’opinione era difficile poiché causava gravi ripercussioni. Prendiamo ad esempio un caso eclatante come quello del nazismo in Germania.

Fin da subito Hitler, consapevole di dover affrontare un’opposizione, decise di reprimere tutto quanto non fosse nazionalsocialista fin da principio. Impose dunque un solo partito, un solo ente di controllo e censura dei giornali e assunse esperti di comunicazione che fossero in grado di tenere a bada gli antagonisti.

Fatto sta che non tutti gli abitanti del Reich accettarono questa situazione e decisero di ribellarsi. In tanti furono coloro che tentarono di ribaltare il regime con il mezzo dell’informazione, ma solo alcuni casi isolati furono talmente eclatanti da essere ancora impressi nella memoria dei più anziani.

Uno tra questi è il gruppo della Rosa Bianca, che agì a Monaco tra il 1942 e il 1943. La Rosa Bianca era composta da una manciata di studenti giovanissimi, tra cui due fratelli, che tentarono per mezzo di 6 opuscoli informativi di riunire i propri compagni di Università al fine di agire contro il regime senza far ricorso alla violenza. Una volta scoperte le intenzioni reali del gruppo, vennero arrestati in Università dalla Gestapo e condannati a morte previo brevissimo processo, presieduto da Freisler (ex socialista, badate bene). Solitamente, i processi duravano molto a lungo ma il regime pensava che i ragazzi fossero troppo pericolosi e intelligenti per lasciarli liberi di agire.

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Sophie Scholl con il fratello Hans e un amico.

La storia di questi cinque studenti (Hans e Sophie Scholl, Christoph Probst, Alexander Schmorell e Willi Graf, tutti ventenni) è raccontata magistralmente in un film intitolato “La Rosa Bianca- Sophie Scholl” del 2005, diretto da Marc Rothemund. Il film riprende la storia descritta sopra nei minimi dettagli, mettendo in luce i particolari legati alla vita del tempo e sottolineando la falsità dei processi tenuti nei tribunali. Inizalmente, il caso fu lasciato in disparte, e solo dopo la guerra si seppe cosa fosse realmente successo in quell’aula di tribunale e come fossero morti i giovani arrestati.

Oltre ai principali appartenti al gruppo, vennero arrestati anche amici e collaboratori che rimasero in carcere fino a 10 anni per aver aiutato la vedova di Probst che aveva già tre figli a carico.

Il film è stato ben accolto dal pubblico, che ha apprezzato la messa in luce di un tema così importante come la comunicazione in tempo di guerra legato anche al concetto di non violenza.

È importante anche notare il rapporto dei personaggi di questa triste storia con la religione e la filosofia: le fonti di ispirazione delle loro idee, infatti, venivano dalla Bibbia e Shiller tra gli altri, cercando di ripristinare “l’intellighenzia tedesca”.

Questo però non è l’unica pellicola dedicata al tema: un altro esempio di cinema che tratta della comunicazione sovversiva in Germania è “Lettere da Berlino” di Vincent Perez.

FONTI

Visione diretta

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