QUANDO CADE L’INCANTO: GUIDO GOZZANO E AMALIA GUGLIELMINETTI

Al centro di Gozzano vi fu la convinzione che passione amorosa e passione poetica andassero a braccetto. E di entrambi questi amori gli rimaneva il senso amaro della impossibilità.

S. Giuliano d’Albaro, 10 giugno 1907, notte:

E voi? Credete di essermi molto simpatica Voi? Avete, invece, agli occhi miei, qualità allontananti.
Prima di tutto siete bella.
E precisamente di quella bellezza che piace a me. Vi ho veduta poco, ma osservata molto: siete proprio bella […].
Ho presente anche questo: che avete bei denti e una bella bocca, piuttosto grande e fresca e attirante come poche […]; avete anche il profilo che piace a me, vestite come piace a me  camminate come piace a me […]. Vedete che c’era di che rifuggire la vostra conoscenza. Non già che io temessi d’innamorarmi di Voi (io non sono innamorato che di me stesso; voglio dire: di ciò che succede in me stesso) ma temevo che mi piaceste ecco tutto.

21 marzo 1908:

[…]Da un legame come il nostro deve balzare qualche cosa di più degno che non la sentimentalità meschina dei piccoli amanti. Per questo è necessario non vederci più. […] Da quanto tempo non soffro! Temo di non poter soffrire più: sento scendere sulla mia anima una calma inquietante […].

30 marzo 1908:

[…]Io provo una soddisfazione speciale quando rifiuto qualche bella felicità che m’offre il Destino. […] Amalia, mio buon amico, quante di queste cose t’avrei detto e ti vorrei dire se tu non fossi giovine e bella! Ma hai degli occhi luminosi ed una bocca tentatrice ed è impossibile starti vicino senza diventare irriverenti con te come con una crestaia o cortigiana qualunque… […] Perdonami. Ragiono, perché non amo. Io non t’ho amata mai. E non t’avrei amata nemmeno restando qui, pur sotto il fascino quotidiano della tua persona magnifica; no: avrei goduto per qualche mese di quella piacevole vanità estetica – sentimentale che dà l’avere al proprio fianco una donna elegante ed ambita. Non altro. Già altre volte t’ho confessata la mia grande miseria: nessuna donna mai mi fece soffrire; non ho amato mai; con tutte non ho avuto che l’avidità del desiderio, prima, ed una mortale malinconia, dopo…

Sono le lettere di Guido Gozzano ad Amalia Guglielminetti.


Lei, poetessa, fiera e libera, “donna appassionata e sensuale, dominatrice e crudele, ardente e sensibile vestita all’ultima moda di Parigi secondo lo schema del gusto liberty(Giorgio Barberi Squarotti).
Nonostante Gabriele D’Annunzio l’avesse definita “l’unica vera poetessa che abbia oggi l’Italia”, nelle principali antologie scolastiche non v’è traccia del suo lavoro, né un cenno al suo valore letterario. Il suo nome appare per lo più legato a quello di Gozzano.
Lui, Guido Gozzano, poeta in ascesa nella società letteraria del XX secolo, ironico, crudele, malato. Celebra la morte dell’arte e l’impossibilità del sentimento autentico con il distacco sarcastico, il tono dissacrante, la corrosione empia.
Si incontra nelle sue liriche una galleria femminile affollata, di “mime crestaie fanti cortigiane” (Convito), fatta di fughe, abbandoni, mordi e fuggi… L’amore, nella sua tragica impossibilità di fondo, è sempre altrove rispetto al mondo del poeta: nel passato, come nel passato è la poesia. Amore e poesia, romanticamente, due aspetti dello stesso dramma.

Torino, primavera del 1907.
Gozzano ha 23 anni e ha appena pubblicato “La via del rifugio”, una raccolta di 30 poesie.
Amalia Guglielminetti ne ha 27 di anni quando dà alle stampe la sua raccolta poetica “Le vergini folli”, in cui rievoca la sua formazione all’interno di un istituto religioso femminile.

Nella città provinciale del tempo, i due poeti si conoscono e si scambiano i loro versi. Si frequentano, si piacciono, forse si amano un po’.
O comunque si amano nella misura possibile a un giovane triste ed ironico, malato di tabe letteraria, ma anche di tubercolosi, e a una giovane brillante, smaniosa e incerta di se stessa. Erano amanti, nel senso che l’etimo vuole: non possiamo sapere cosa legasse due anime tanto complesse e doloranti.

Sanguineti scrisse nella prefazione all’opera di un intimo amico di Gozzano (Carlo Vallini): “L’incapacità di amare, l’aridità sentimentale: è la malattia morale di questi poeti; è la loro malattia mortale”.

Amare d’amore non gli è possibile, a Gozzano non resta che il gioco intellettualistico e dissacrante, o la fantasia romantica, o la nostalgia dell’improbabile, ma mai un’esperienza autentica:

Il mio sogno è nutrito d’abbandono,
di rimpianto. Non amo che le rose
che non colsi. Non amo che le cose
che potevano essere e non sono
state… (Cocotte)


 

FONTI

Fonte 1: Guido Gozzano, Poesie, Milano, BUR, 1977
Fonte 2: Lettere d’amore di Guido Gozzano e Amalia Guglielminetti, prefazione e note di Spartaco Asciamprener, Milano, Garzanti, 1951
Fonte 3: Mariarosa Masoero, Guido Gozzano. Libri e lettere, Olschki, Firenze, 2005


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