Cultural appropriation: giusta o sbagliata?

Quante volte abbiamo pensato “belli questi orecchini a cerchio” o “carino questo kimono”, ma ci siamo mai chiesti quale fosse la loro origine e se sia giusto, dal punto di vista etico, indossare capi appartenenti ad altre culture?

La “cultural appropriation” parla proprio di questo: è l’atto di prendere o usare cose appartenenti a una cultura che non è la propria, in particolare dimostrando che la si utilizza in maniera impropria.

Così viene definita da una professoressa di legge alla Fordham university di New York: “Appropriarsi della proprietà intellettuale, delle conoscenze tradizionali, delle espressioni culturali, o manufatti dalla cultura di qualcun altro senza permesso. Questo può includere l’uso non autorizzato di una danza di un’altra cultura, di un abito, della musica, della lingua, del folklore, della cucina, della medicina tradizionale ecc. è più dannoso quando la comunità di origine è un gruppo minoritario che è stato oppresso o sfruttato o quando l’oggetto di appropriazione è particolarmente sensibile, come ad esempio oggetti sacri”.

È un tema molto discusso, sono molti i pareri discordanti sulla cultural appropriation: c’è chi, sull’onda del politically correct, ritiene che la cultura bianca sia fondata sul furto ad altre culture, prendendosene i meriti e discriminando i titolari, e c’è chi crede invece che l’appropriazione culturale sia cosa inevitabile dal momento che la nostra società è ormai un melting pot, una commistione di culture ed etnie di tutti i tipi e di ogni provenienza.

Le accuse derivano però non dal semplice appropriarsi di un oggetto, ma dall’appropriarsene senza capirne il significato intrinseco e senza farsi lo scrupolo a offendere gli appartenenti alla cultura di origine dell’oggetto in questione. Deriva quindi dal semplificarlo, dal ridurlo a un mero mezzo per il raggiungimento di uno scopo che non ha nulla a che vedere con la sua utilità originaria.

È il trasformare una tradizione culturale, con una propria storia (spesso antichissima), in una tendenza “cool” della durata di uno starnuto, per poi passare alla successiva e così via.

Cultural appropriation nella moda

Molti sono i campi in cui è aperto questo dibattito, si va dalla musica (canzoni e video musicali), ai film, all’arte, al design fino a permeare anche il campo della moda.

Ormai da qualche anno infatti, le maison di moda traggono ispirazione non più dai precedenti stilisti che hanno fatto la storia o dalle molteplici fonti di ispirazione che occupano lo spazio a noi circostante, ma dalle molteplici culture presenti nel mondo, in particolare prendendo come modello quelle africane, sudamericane e asiatiche.

È infatti da queste che provengono, per citarne alcuni, le collane in osso, le decorazioni in perline colorate, le piume e le treccine afro della collezione di Valentino SpringSummer2016, i “baby hair” ingellati che hanno spopolato nelle passerelle di Givenchy nel 2015 imitando lo stile “chola” messicano, i “bantu knots” (una particolare capigliatura appartenente alla tribù Zulu in Sud Africa) nella sfilata di Marc Jacobs nel 2015 ecc.

Quello che è stato criticato a Valentino fu l’utilizzo, per il 90%, di modelle bianche a rappresentare degli abiti palesemente ispirati all’Africa. Scelta discutibile. Situazione simile per Givenchy: venne criticata la presenza quasi esclusiva di modelle bianche, con l’eccezione di Joan Smalls a rappresentare lo stile chola, tipico delle ragazze latino-americane (era infatti l’unica modella sulla passerella con queste origini).

Un caso recente è quello che ha come protagoniste le sorelle Kendall e Kylie Jenner: le due ventenni, pochi mesi fa, hanno creato una linea di t-shirt raffiguranti le loro facce incollate al posto di quelle di alcuni rapper morti, tra cui Tupac, Notorious BIG e Ozzy Osbourne. Si è creato un vero “t-shirt drama” in quanto la mossa delle sorelle è stata considerata disgustosa e irrispettosa nei confronti dei rapper e delle loro famiglie in primis, e successivamente nei confronti di chi ha fatto della loro musica una cultura vera e propria.

Il confine tra ispirazione e appropriazione in questi contesti è molto labile: si tratta solo di prendere spunto, o di copiare? Quello che non si mette in considerazione è, spesso, la reazione degli appartenenti alle diverse culture dalle quali si trae ispirazione; si agisce per conto di un interesse “personale”, quello della maison, tralasciando gli interessi legittimi degli altri.

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