Take Me (I’m Yours): mostra/happening di Obrist e Boltanski

“Take Me (I’m Yours)”: sono le opere d’arte a parlare e a rivolgervi il messaggio ammiccante, da un’idea di mostra nata nel 1995 da due personalità di fama internazionale, l’artista Christian Boltanski e il direttore d’arte e curatore Hans-Ulrich Obrist.
Il progetto è stato messo in scena originariamente per la Serpentine Gallery di Londra (nel marzo-aprile del ’95), e da allora continua a far parlare di sè come un’idea rivoluzionaria, sorprendente e a tratti provocatoria per il mondo dell’arte.

Dal 2015 la mostra è stata rielaborata in più versioni in istituzioni site a Parigi, Copenhagen, New York e Buenos Aires. In Italia ha da poco calato il sipario l’omonima mostra a Bologna, allestita lo scorso 7 ottobre presso l’ex parcheggio Giurolo, come versione rivisitata da parte degli studenti dell’Accademia di Belle Arti di Bologna, a cura di Danilo Eccher.

A breve sarà la volta della Fondazione per l’arte contemporanea Pirelli HangarBicocca, che già si prepara ad allestire la mostra, riprendendo fedelmente l’idea e l’assetto strutturale realizzato a Londra 22 anni fa. E indovinate da chi sarà curata? Ebbene, dagli originali Obrist e Boltanski, in aggiunta a Chiara Parisi e Roberta Tenconi.

Tra gli oltre 40 artisti in collaborazione troviamo: Etel Adnan, Giorgio Andreotta Calò, Christian Boltanski, Maurizio Cattelan, Hans-Peter Feldmann, Mario García Torres, Alberto Garutti, Gilbert & George, Douglas Gordon, Carsten Höller, Jonathan Horowitz, David Horvitz, Adelita Husni-Bey, Gustav Metzger, Bruce Nauman, Yoko Ono, Tino Sehgal, Daniel Spoerri, Wolfgang Tillmans, Rirkrit Tiravanija, Franco Vaccari, Francesco Vezzoli, Lawrence Weiner…

Oltre a questi nomi, che già rendono idea dello “spessore” relativo all’evento, vi spiego perché la mostra si prospetta davvero imperdibile.

Con questa esposizione abbiamo a che fare con un esperimento artistico collettivo, che reinventa totalmente i processi di fruizione e di distribuzione di un’opera d’arte.
In questa mostra-happening del tutto singolare, i visitatori compiono il gesto di provare, modificare, usare, toccare o prendere le opere esposte, talvolta comprandole, barattandole o persino rubandole: tutte azioni generalmente vietate in una mostra.

Il tutto contribuisce a dare il via ad un’opera di “toccata e fuga” di massa, che inizia con l’entrata del pubblico nello spazio espositivo, prende forma nelle sue molteplici azioni, e termina con la propria uscita di scena, ritrovandosi appesantito dai sacchetti contenenti qualche frammento di opera preso qua e là, di qualche artista famoso.

Ma soprattutto è lo spazio di mille metri quadrati dello Shed dell’Hangar a variare per mano dell’uomo, modificandosi e svuotandosi gradualmente: difatti il progetto si evolve e cambia continuamente da anni. Effettivamente, la radice dell’idea sta nel lavoro “Quai de la Gare” (1993), opera di Boltanski, costituita da enormi masse di vestiti di seconda mano che il pubblico poteva prendere e portare via con una busta marchiata “Dispersion”: la massa era infatti destinata per sua natura a disgregarsi e scomparire.

In questo contesto le opere diventano come un’esca per gli ospiti, i quali agiscono da cavie secondo il “piano malefico” dei due curatori: quello di ricreare una performance basata proprio sul moto dei visitatori stessi, che prende vita con il passare del tempo mediante la loro interazione con le opere.
Ma queste particolari cavie, prese dalla novità di poter appropriarsi di oggetti, fotografie o dipinti dei più conosciuti artisti contemporanei, trascurano il fatto di costituire esse stesse la colonna portante della mostra e dello spazio in cui si trovano. Spazio espositivo anomalo, perché in questo caso esso sfida le regole insite nella propria definizione, seppellendo molto in profondità il concetto di “white cube” e di sterilità e ordine della fruizione.

Scomodando la figura di Duchamp per la sua riconsiderazione sull’arte contemporanea, questa nuova idea di arte “espugnabile” fa sì che noi ospiti ci poniamo nuovamente le domande: “che cos’è l’arte?”, “In che modo un oggetto viene definito arte?”

L’unicità contenuta nell’opera di un artista contemporaneo viene messa fortemente in discussione: si abolisce la distanza incolmabile tra artista e spettatore, in modo tale da trasformare l’intermediario (l’opera stessa) in merce comunemente diffusa.
Ne consegue che il donare/ricevere come atto del visitatore rispetto all’opera sia un esempio di metafora non così subdola dello scenario della società contemporanea, nonché della storia e del consumismo che ne fanno parte.

Pur in una tale prospettiva critica, Obrist afferma la necessità di un approccio giocoso ed entusiasta per un’arte che diventa utilizzabile, tattile e mutabile. Arte che rievoca il celebre concetto di “art for art’s sake”: ovvero dell’arte fine a se stessa, che esiste per il suo valore intrinseco, distaccato da forme erudite di morale, dialettica e funzioni utilitarie.

Tutto ciò non è nuovo, ma soffermiamoci un attimo: la mostra in questione stimola una riflessione sul senso comune dell’arte ed il nostro rapporto con i musei.
Soprattutto essa invita a rivedere i comuni processi di fruibilità, promozione e distribuzione della cultura: temi tutt’ora in fase di analisi e che faticano a trovare soluzioni maggiormente innovative. Difatti, questi concetti sono riproposti ad un pubblico nuovo, le nuove generazioni, le quali assistono direttamente e costantemente al cambiamento.

Basti pensare all’avvento di Internet: strumento indispensabile in grado di modificare gran parte delle nostre abitudini e di riformare ogni lato della vita umana.
Ecco che in sedi più “terrene”, tra cui quelle espositive ed istruttive, questo tipo di tentativo volto al cambiamento ed al miglioramento non esiste.
Di fatto, i soli che in qualche modo modificano i canoni culturali, spesso risultano essere artisti e curatori (come nel nostro caso), al contrario delle relative istituzioni.

Detto ciò, questo evento si dimostra interessante e ricco di contenuti. Un evento “happening” che, forse, potrà far accadere qualcosa di impensabile anche fuori dal suo contesto, abbattendo le mura del proprio edificio.

Per maggiori informazioni:

“Take Me (I’m Yours)”:
Inaugurazione martedi 31 Ottobre 2017 ore 19
Dal 1 Novembre al 14 Gennaio 2018

Orari mostre Pirelli HangarBicocca:
chiuso da lunedi a mercoledi
aperto da giovedi a domenica nella fascia oraria 10-22

Indirizzo e contatti:
Via Chiese, 2 – 20126 Milano
info@hangarbicocca.org
T: (+39) 02 66 11 15 73
F: (+39) 02 64 70 275


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