Mitomani o no? Il caso Fight Club

Chiunque ha sentito parlare almeno una volta di Fight Club, il film che ha stupefatto i fan (e non) di David Fincher, uno dei più noti registi dei nostri tempi.

Il film è ispirato all’omonimo romanzo di Chuck Palahniuk, ed ha avuto un successo strepitoso tra i giovani spettatori dal palato sopraffino, tant’è che oggi, dopo ben 18 anni, si continua a parlarne.

Ma qual è il motivo del suo successo? Come mai la pellicola continua a far parlare di sé?

Tra i motivi proposti dai critici, dalle più varie inclinazioni, sicuramente ce n’è uno interessante e che vale la pena approfondire: la centralità di un protagonista mitomane.

Con mitomania si fa riferimento ad un atteggiamento psicotico per cui fatti irreali vengono presentati come veri con una convinzione tale da lasciare in dubbio il proprio ascoltatore (o spettatore a seconda dei casi).

Ed effettivamente questo atteggiamento è visibile nel personaggio interpretato da Norton: innanzitutto Fincher è abile nel non dargli un nome, scelta che di per sé suggerisce qualcosa allo spettatore; per di più la mitomania nasce dal desiderio di evadere da una società non conforme alle proprie esigenze, desiderio riscontrabile nel personaggio, presentatoci prima come lo stereotipo dell’uomo moderno, frustrato dal lavoro e dalla monotonia, poi come uno scapestrato violento e noncurante delle regole.

Il nuovo atteggiamento del protagonista, improvviso e sconvolgente, sembra essere dettato dall’incontro con Durden che solo nel finale si scoprirà essere la parte più bruta di Norton, sconosciuta anche a lui stesso.

Tuttavia validi sono anche i motivi che ci spingono ad opporci a quest’idea: innanzitutto la mitomania presuppone sempre un minimo di coscienza, dunque etichettare il protagonista di Fight Club come mitomane vuol dire non riconoscerne l’atteggiamento schizofrenico per cui la nuova realtà che egli ha creato diventa l’unica possibile ed accettabile anche per se stesso.

Non è un caso infatti che, dopo aver scoperto di esser stato causa di azioni dalle conseguenze catastrofiche, il personaggio tenta di suicidarsi, pensando in questo modo di eliminare quel Durden rappresentate tutto ciò che avrebbe voluto essere, ma anche tutto ciò da cui vuole fuggire.

Inoltre il concetto patologico di mitomania prevede che il vero, non accettato in quanto tale, venga trasformato in falso perché voluto, più o meno coscientemente, diverso. In questo caso il falso sovrasta totalmente il vero e rende irriconoscibili i confini, fino al punto che neanche chi assiste passivo all’azione riesce a capire dove sia il vero. Il mitomane, pur avendo sfocati i confini tra vero e falso, ha una consapevolezza di fondo, quindi il suo è un gioco messo in atto per convincere chi lo ascolta che ciò che sta dicendo è vero. Nel film, invece, il protagonista sembra non avere questa consapevolezza, non ci sono spie che ci avvertono che lui sta mentendo, quindi più che mitomane possiamo dire che appartenga di più alla categoria degli schizofrenici.

Con argomentazioni tanto valide al sostegno dell’una o dell’altra idea, prendere una posizione risulta difficile anche per i critici più perspicaci.

Ciò che è certo è che Fight Club non smette mai di stupirci, ogni sua visione stimola nuove riflessioni e svela nuovi particolari allettanti, dunque la “prima regola del Fight club: non parlate mai del Fight club”, è stata meravigliosamente tradita.

 

FONTI                                                                  CREDITS

Wikipedia                                                             Copertina                                                                                                                                                 Immagine 1                                                                                                                                             Immagine 2

 

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