Un tuffo nel ‘500 – Parte 1

Il ‘500 è un secolo di guerre, scoperte e cambiamenti, ma è sopratutto il periodo in cui nasce e muove i primi passi lo Stato. Sì, quello con la S maiuscola, che si riconosce in un certo territorio ben definito (nonostante continue ed infinite dispute) ed in particolare in una dinastia sovrana. Sebbene ci si ritrovi ancora in un quadro tipicamente medievale, formato di gerarchie e divisioni feudali, qualcosa sta cambiando.

All’interno dell’élite regnante europea, che si riconosce in una sorta di “repubblica cristiana” capitanata dal papa, ogni famiglia inizia a pretendere maggior spazio, onore e riconoscimento sul proprio territorio. Lo scontro secolare di papato e impero è ormai venuto meno e le due dignità, quella pontificia e quella imperiale, suscitano meno timore, così che, sebbene siano loro tributati grandi onori, i nascenti Stati nazionali cercano di affrancarsi dalla loro influenza. Ogni sovrano si considera “imperatore nel proprio regno”, ottenendo di fatto una maggior indipendenza sul piano internazionale.

Corte 1530

Ma non solo: anche i principi e le repubbliche entrano in questa sorta di competizione, per ottenere un posto più o meno privilegiato all’interno della Cristianità. Inizia quindi una serie infinita di contestazioni, screzi e incidenti diplomatici. Dagli scontri verbali a quelli fisici, il gioco si muove molto sul piano delle precedenze: lasciar passare per primo il proprio avversario politico per strada non è un gesto di cortesia, ma un disonore, il riconoscimento della sua superiorità e implicitamente della propria sconfitta. E se nel 1575 gli ambasciatori del duca di Ferrara e del granduca di Toscana restano per ore uno di fronte all’altro per le vie di Praga, fino all’intervento diretto dell’imperatore, immaginate le infinite battaglie disputate non sul campo ma sul fronte cerimoniale. Chi entra per primo in una sala, l’ordine delle firme di un documento, i vari appellativi… Nemmeno il papa, indebolito dalla Riforma luterana, riesce a porsi come arbitro.

E in questo continuo tentativo di affermazione formale, le dinastie regnanti elaborano anche una serie di miti di fondazione, volti a sottolineare quanto sia illustre, nobile e antica la propria casata. Talmente antica che addirittura in Francia si recupera il mito delle origini troiane. L’elaborazione di queste genealogie mitiche serve a consolidare l’autonomia della nazione e dei suoi regnanti da influenze esterne: così l’Inghilterra si fa discendente prima da Costantino e Bruto, quindi erede della dignità imperiale e indipendente dal papa di Roma, poi, coi Tudor, da re Artù. Questa mitizzazione rende le dinastie anche affascinanti agli occhi del popolo, che le guarda con ancor più venerazione se a ciò si aggiunge qualche legame col divino. In questo campo dominano i re francesi, dotati di poteri taumaturgici e discendenti da San Luigi, e per questi invidiati da tutt’Europa. Chi non conta antenati in aria di santità, o chiede al papa la canonizzazione di un parente o raccoglie attorno a sé una schiera di santi. Come? Arraffando quante più reliquie possibili, come Filippo II di Spagna che all’Escorial raduna 7422 reliquie da ogni dove.

Una competizione che quindi non è solo militare, ma sopratutto ideologica. I regnanti chiamano in causa ogni risorsa, dalla letteratura alla diplomazia, dall’araldica alla religione. Tutto per essere indipendenti, a capo di uno Stato realmente sovrano.


FONTI

 Alain Tallon, L’Europa del Cinquecento, Carocci Editore, 2013

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