Ifigenia nei classici

La figura di Ifigenia non è stata inventata dai poeti tragici, poiché la sua presenza è attestata in Omero: nel IX canto dell’Iliade Agamennone è disposto a dare in sposa la figlia Ifigenia ad Achille, pur di placarne l’ira. Manca nel panorama omerico l’allusione al sacrificio della fanciulla; tema, invece, approfondito nella tragedia.

 

L’Ifigenia di Eschilo

Eschilo affida il racconto al coro, nella parodo dell’Agamennone, la prima delle tre tragedie che compongono l’Orestea. Durante il suo ingresso sulla scena, nei versi 184-247, il coro descrive quanto accaduto in Aulide: essendo l’esercito costretto da giorni in quel luogo a causa della bonaccia provocata dall’ira di Artemide nei confronti di Agamennone, i capi achei consultano l’indovino Calcante che informa che la rabbia della dea potrà essere placata soltanto con il sacrificio di Ifigenia, la figlia del comandante Agamennone.

Il coro descrive dettagliatamente lo svolgimento del sacrificio, in esso Eschilo evidenzia la passività di Ifigenia, la fanciulla viene paragonata ad una capra e viene sottolineato il suo essere “ancora vergine”, una connotazione che sarà ripresa da Lucrezio, che al verso 87 del primo libro del De Rerum Natura descrive “virgineos comptus”, i suoi riccioli di vergine, e pochi versi dopo (v. 98) la definisce “casta” .

L’Ifigenia di Euripide

Diversamente, nella versione euripidea del mito, Ifigenia viene chiamata in Aulide dal padre con il falso pretesto delle nozze con Achille.

Il rito sacro viene rappresentato nel quarto episodio, dove si colloca l’ακμη della tragedia, nel lamento lirico di Ifigenia che si rivolge al padre tentando di convincerlo a risparmiarle la vita. Ogni tentativo è vano: a Ifigenia non resta che accettare il destino assegnatole e sacrificarsi per il bene dell’Ellade: “Io offro il mio corpo all’Ellade: Sacrificatelo! Espugnate Troia! Questo sacrificio è un ricordo di me che vivrà nel tempo” (vv1898-1899).

Differente l’Ifigenia eschilea dall’eroina euripidea: la prima riveste un ruolo passivo e non tenta neppure di opporsi alla volontà paterna, la seconda tenta in tutti i modi possibili di salvarsi e solo quando capisce che ormai per lei non c’è più speranza, decide di immolarsi per la patria, consapevole della gloria che le deriverà da questo atto e che le sarà tributata dai posteri.

La ripresa lucreziana del mito

L’autore sceglie di rifarsi alla versione eschilea, che propone una Ifigenia passiva. Allo stesso tempo, però, Lucrezio intende arricchire il ritratto del personaggio rispetto ad Eschilo, e lo fa riprendendo alcuni particolari dalla tragedia di Euripide: il falso pretesto del matrimonio e la supplica della figlia al padre. Come in Euripide, Ifigenia appare vittima di un raggiro, che intuisce quando scorge i soldati che piangono al suo cospetto. Difatti, per indicare questi uomini, Lucrezio non ricorre al termine “milites”, ma usa la parola “cives”, al fine di accentuare la partecipazione al dolore della fanciulla che sarà sacrificata per il bene.

Alla vista di questi uomini Ifigenia “muta per il timore cade a terra piegata sulle ginocchia” (v. 92): è rintracciabile in questo gesto un’eco della reazione della fanciulla descritta da Eschilo, quando viene sollevata dagli uomini per essere messa sull’altare sacrificale.

Durante il rito: Ifigenia è indicata, sul modello eschileo, come “casta hostia”, vittima sacrificale del “mactatu parentis”, dell’uccisione da parte del padre. Vi è un indugio sul contrasto tra le nozze promesse alla fanciulla e il motivo reale della sua convocazione in Aulide: lo stesso rito del sacrificio ricalca per alcuni aspetti quello matrimoniale. Tra i più significativi si ricorda l’espressione “deductast adaras” che è ricollegabile al rito della deductio, ovvero l’accompagnamento della sposa verso la casa dello sposo, oppure il complemento “nubendi tempore inipso” con cui si pone l’accento sulla giovane età della fanciulla, ben più adatta alle nozze che alla morte.

 

Per concludere, è possibile dire che dalla lettura contrastiva dell’Agamennone di Eschilo e dell’Ifigenia in Aulide di Euripide, si evincono alcune salienti differenze nella narrazione del medesimo mito, che risultano decisive nel determinare la scelta lucreziana nel De Rerum Natura.

Fonti: L’Agamennone di Eschilo, l’Ifigenia in Aulide di Euripide, il De rerum natura di Lucrezio.

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