Industria del cotone OGM: il caso Monsanto in Burkina Faso

Nel 2009 lo stato africano Burkina Faso stipulò con la multinazionale di biotecnologie agrarie Monsanto un accordo per sostituire le tradizionali sementi di cotone con quelle della varietà Bollgrad II prodotte dalla stessa. Le nuove sementi, oltre che più economiche, avrebbero dovuto necessitare di un minor uso di pesticidi durante la coltivazione ed aumentare il guadagno dei produttori. I coltivatori si sono rivelati insoddisfatti, e la collaborazione tra le due parti è finita con il raccolto del 2016, dopo sette anni.

Il cotone di nuova produzione sarebbe di peggior qualità rispetto a quello tradizionale, e ciò ha portato Monsanto ad essere citata legalmente dalla Società nazionale di produttori di fibre tessili (Sofitex), che chiede che l’azienda copra le perdite che sono scaturite dalla coltivazione delle sementi transgeniche per una cifra di circa 74 milioni di euro. Un organismo transgenico subisce un particolare tipo di modificazione genetica, in cui i geni di interesse vengono alterati utilizzando frammenti di geni provenienti da altre specie, e non da quella d’origine.
Il Burkina Faso ha intenzione di ritornare gradualmente ad una coltivazione completamente priva di sementi transgeniche, obiettivo che verrà raggiunto nel 2018.

Il docente di Innovazione e tecnologia – all’African Institute for Social and Economic Development di Abidjan, in Costa D’Avorio – François Kaboré dichiara:

“Si tratta di una differenza che deriva per lo più dalla lunghezza della fibra. Quella prodotta dai semi creati nei laboratori della multinazionale americana è molto più corta di quella tradizionale burkinabé”.

Secondo l’azienda il problema sarebbe dovuto ad un “cattivo utilizzo” del cotone in sé, e non nelle sementi fornite agli agricoltori.
Il Burkina Faso non è l’unico stato che ha deciso di evitare le piantagioni di cotone OGM. Difatti nel mese di maggio 2017 gli eurodeputati della commissione Ambiente del Parlamento europeo hanno stabilito che i prodotti provenienti dalla varietà di cotone GHB119 non dovrebbero essere autorizzati, poiché la sua coltivazione comporta l’utilizzo di erbicidi a base di glufosinate ammonio, composto considerato tossico.

La produzione di cotone non ecosostenibile è un problema importante nel sistema economico odierno, considerando che l’industria della moda viene definita, nel documentario Netflix The True Cost, la seconda industria più inquinante dopo quella petrolifera. Al fine di proporre un’alternativa alla produzione di cotone usuale, caratterizzata dall’uso di grandi quantitativi d’acqua (2.7000 litri in tutto solo per una T-shirt) e pesticidi, esiste la Better Cotton Initiative (BCI), un’associazione che opera in molti paesi quali per esempio Pakistan, India, Brasile, lo stesso Burkina Faso, Mali, Senegal, che ha l’obiettivo di mettere in contatto produttori, intermediari e gruppi no-profit e condividere l’uso di tecniche che possano minimizzare i problemi derivanti dalla produzione in larga scala di cotone.

Fonti:

www.eunews.it

www.lastampa.it

www.ilsecoloxix.it

www.volontariperlosviluppo.it

www.greenstyle.it

www.greenreport.it

immagini: www.eunews.it

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.