Aokigahara, la foresta dei suicidi: tra rituali e spiriti maligni

La leggenda di Aokigahara, un’oscura foresta situata ai piedi del Monte Fuji in Giappone, è recentemente tornata alla ribalta per il nuovo film Jukai – la foresta dei suicidi. Ma non è certo la prima opera ad avere come soggetto questo luogo suggestivo, da sempre avvolto in aura di mistero, leggenda… e morte.

Questa cosiddetta “foresta dei suicidi” è infatti caratterizzata da una fitta vegetazione dalla struttura labirintica, la quale contribuisce a fermare l’azione del vento e impedisce la presenza di una stabile vita animale: tutto ciò rende l’intera foresta estremamente quieta. L’intrigo dei rami intrecciati in alcune zone diventa così fitto da non permettere alla luce del sole di filtrare, creando delle zone d’oscurità, mentre nei mesi invernali non è raro che cali una fitta nebbia tale da impedire completamente la visibilità.

La sua notorietà però è dovuta ad un fatto molto più macabro: il numero estremamente elevato dei suicidi che si verificano ogni anno tra questi alberi. Questo tasso preoccupante (la foresta è il terzo posto preferito per i suicidi al mondo) ha portato le autorità a posizionare cartelli per la foresta per spingere le persone che hanno deciso di farla finita a ripensarci. È stata inoltre stabilita una ronda per il ritrovamento dei corpi.

Aokigahara, nota anche come Jukai. Yamanashi, Giappone

Ma da cosa deriva questa tradizione di morte e suicidio?

Sembra che risalga ai secoli passati, in connessione ad un rituale che si svolgeva proprio in questa foresta: l’ubasute. Questo rituale eccezionale era praticato nel Giappone antico e consisteva nel lasciare morire (di sua spontanea volontà) un membro anziano o infermo della comunità in qualche località remota perché non pesasse sul resto della comunità. La foresta di Aokigahara era appunto uno di questi luoghi.

Kodama (木魅) from the Gazu Hyakki Yakō

Tuttavia accanto a questa pratica, non mancano storie di spiriti e demoni delle credenze popolari. La foresta infatti era abitata dai Kodama, spiriti che risiedevano negli alberi e che si divertivano a imitare le voci umane nelle foreste, creando degli echi: abbattere un albero che era dimora di un Kodama era considerato fonte di sventura. Vi erano poi i Jubokko, spiriti degli alberi che secondo il folklore giapponese catturano gli incauti umani che passano vicino e ne bevono il sangue, rimanendo così sempreverdi: quando i Jubokko vengono tagliati, dai tagli esce del sangue. Infine, la foresta sarebbe stata infestata dagli Yūrei, ovvero le anime di coloro che sono morti tra i suoi alberi, defunti prematuramente e senza un’appropriata sepoltura: come i fantasmi occidentali, gli Yūrei non riescono a raggiungere la pace nell’aldilà e a lasciare il mondo dei vivi.

La foresta dei suicidi è un luogo carico di storia, di leggenda e suggestione, che non a caso ha ispirato diverse opere nel corso degli anni: a partire dal romanzo “Nami no tō” di Seichō Matsumoto del 1960 fino alle sale dei cinema odierni.


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