IL MANIFESTO MULTIMEDIALE DI JULIAN ROSEFELDT

“Tutti questi autori hanno un bisogno irreprensibile di dire qualcosa al mondo.
Attraverso il mondo dell’arte, è il mondo intero che vogliono cambiare!
Leggere questi testi mi dà gioia e voglia di andare più lontano in quanto artista, di contribuire alla società.”
Julian Rosefeldt in un’intervista del 2015

Vi introduco in questo modo l’entusiasta artista Julian Rosefeldt: orgoglio del paese tedesco nel campo della fotografia e della videoarte.
Nato nel 1965 a Monaco di Baviera, il suo lavoro consiste principalmente in elaborate e massicce video installazioni, spesso concepite come inquadrature panoramiche proiettate in più canali audiovisivi; tutte in stile documentaristico o di dichiarata finzione teatrale e narrativa.

In linea con quest’ultima scelta espressiva, l’opera “Manifesto” motiva pienamente il messaggio della sua frase iniziale. Ci troviamo dinanzi a un’installazione video che tratta dei più grandi manifesti artistici e storici e delle riflessioni dei più brillanti artisti, registi, poeti, interpretati ed incarnati da persone comuni delle estrazioni sociali e culturali più disparate del nostro presente.

Per questo, il Manifesto di Julian Rosefeldt è un’opera d’arte assolutamente ricca e innovativa, ideata nel 2015 e messa in scena l’anno successivo presso la memorabile mostra all’Hamburger Bahnhof di Berlino, presentata dall’Australian Centre for the Moving Image di Melbourne.
Visto l’incredibile successo, quest’anno si è deciso di trasformare l’opera in un film dalla durata di 90 minuti, che è stato distribuito anche in Italia tramite eventi quali il Biografilm Festival 2017 e Milano Film Festival 2017 come film fuori concorso (in collaborazione con Goethe Institut Mailand), grazie alla distribuzione di Wonder Pictures.

Nell’installazione originale si intrecciano 13 vite differenti, attraverso 13 ruoli proiettati su 13 ampi schermi. In essi, sparsi in modo apparentemente caotico nella sala, è costantemente presente una delle più talentuose attrici del nostro tempo, Cate Blanchett, che da eccellente trasformista incarna da sola tutti questi personaggi, drasticamente diversi fra loro: un’economista, un’insegnate, un senzatetto, una burattinaia, una rocker, una scienziata e molti altri.

In successione continua per un totale di 130 minuti, la versatile Cate si destreggia con grande abilità tra i versi dei più grandi Manifesti della cultura occidentale, da quello del Partito Comunista (1848) fino a quelli artistici: dal manifesto del Suprematismo di Kazimir Malevich al Dada di Tristan Tzara, dal Futurismo di Filippo Tommaso Marinetti al movimento Fluxus di George Maciunas, senza escludere le riflessioni di André Breton, Yvonne Rainer, Sturtevant, Adrian Piper, Sol LeWitt, Jim Jarmusch…la lista è lunga.

Julian Rosefeldt è alla ricerca del manifesto del nostro tempo, e punta a cercarlo tra le scartoffie polverose che abbiamo accantonato. Facendo questo, l’artista crea un fantastico collage di pensieri e parole che hanno segnato il nostro percorso storico e culturale.
Forbite frasi che fungono da biglietto da visita, come svela egli stesso:

“Hopefully, Manifesto can remind people that if you want to say something, you should make sure it’s sharp and intelligent before you open your mouth”
– Julian Rosefeldt in un’intervista a Dazed Magazine

Così, questi molteplici personaggi si fondono alle varie teorie artistiche e storiche: alcuni esempi li troviamo nel personaggio di un senzatetto che urla al mondo il Manifesto Comunista di Marx ed Engels, o nella vedova che ad un funerale recita solennemente i versi del Manifesto Dada, o ancora nel ruolo di un’insegnante, che citando Stan Brakhage, Lars Von Trier e Jim Jarmusch, fa intuire il processo di Rosefeldt nella creazione dell’intera opera:

Niente è originale. Tutto è una copia. Il trucco del vero artista è la capacità di copiare e di andare oltre, come per le parole di Godard: non è importante da dove prendi le cose, è importante dove le porti.”
– Jim Jarmusch

Infatti, servendosi di concetti ideati da altri artisti e di parole non proprie, l’autore giunge al suo obiettivo: quello di aprire allo spettatore una nuova visione del mondo, mostrando contemporaneamente le scene di vita di più persone (le stesse che incontriamo per strada), per mostrarcele legate dalla stessa cultura.
Ma il punto focale di questo atto è quello di rappresentare l’intera umanità e di rileggerla in chiave artistica, affermando che “l’arte non è solo di pochi, non è di chi la fa. Appartiene a tutti.”

Installazione che diventa così un’opera politicamente democratica, che vuole fungere da critica ai problemi che attualmente attanagliano la nostra società, la quale vuole correre in fretta, ma che tuttavia viene dominata dai social. Per questo è importante adottare un punto di vista soggettivo che aiuti il pubblico a comprendere le vite dei vari personaggi, a capire chi ha davanti entrando nelle loro storie.
Quest’opera è una piacevole esperienza visiva e di arricchimento per lo spettatore, il quale finalmente si ferma, osserva, ascolta e intanto fluttua tra una vita e l’altra, uscendo per quei 130 minuti, o anche in modo più permanente, dal proprio individualismo.
Ed è proprio questo atteggiamento che fa sì che i nostri limiti vengano abbattuti, rendendoci più liberi.

“La sola parola libertà è tutto ciò che ancora mi esalta. La credo atta ad alimentare, indefinitamente, l’antico fanatismo umano. Risponde senza dubbio alla mia sola aspirazione legittima. Tra le tante disgrazie di cui siamo eredi, bisogna riconoscere che ci è lasciata la massima libertà dello spirito. Sta a noi non farne cattivo uso”
– André Breton, 1924

Credits:

per l’articolo: http://www.smb.museum/en/exhibitions/detail/julian-rosefeldt-manifesto.html
https://www.julianrosefeldt.com/film-and-video-works/manifesto-_2014-2015/
http://www.dazeddigital.com/artsandculture/article/31846/1/cate-blanchett-plays-12-characters-in-julian-rosefeldt-s-berlin-art-show

foto: copertina

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