SGRADEVOLE E MISTERIOSA BELLEZZA: 57. Biennale Arte di Venezia (parte II)

Un buio disorientante e un’atmosfera ovattata e compatta mi circondano immediatamente. Rumori e scricchiolii incostanti provengono da macchinari ed apparecchi nascosti, mentre l’odore inaspettato di plastica mescolata a muffa e a qualche altro materiale in decomposizione scaturisce da una strana architettura di PVC gonfiabile, primo elemento visivo che riesco a decodificare in questo paesaggio straniante. Questa anomala variabile olfattiva e la scarsa luminosità dell’ambiente rendono il Padiglione Italia un luogo atipico ed enigmatico nella costellazione eterogenea di rappresentazioni nazionali di questa Biennale.

Il mondo magico, così si intitola la mostra curata da Cecilia Alemani alla Tesa delle Vergini, spazio storico di rappresentanza italiana, alla 57. Biennale Arte di Venezia. Il titolo riprende direttamente quello del saggio di Ernesto de Martino, antropologo ed etnografo italiano del secondo dopoguerra: una riflessione, pubblicata nel 1948, su quanto il ruolo del magico, dell’immaginazione e delle credenze popolari sia stato (e sia tuttora) fondamentale nella costruzione del soggetto umano dentro il suo contesto storico e le sue coordinate esistenziali. Questa visione, che non suggerisce alcuna “fuga” nell’irrazionale e nell’esoterico ma auspica piuttosto il riutilizzo attivo, trasformativo e visionario dell’energia ri-categorizzante dell’immaginazione, emana coerentemente dai lavori dei tre artisti invitati dalla Alemani: Roberto Cuoghi, Adelita Husni-Bey e Giorgio Andreotta Calò.

La poderosa struttura in plastica che accoglie il visitatore all’entrata della mostra, una sorta di scheletro di basilica paleocristiana in PVC o un’inquietante attrazione da luna-park, è il nucleo costitutivo del lavoro di Cuoghi, forse il più visionario e affascinante di quelli esposti in mostra. L’installazione occupa, nella sua maestosa complessità, la prima grande stanza del Padiglione italiano, e si intitola “Imitazione di Cristo“: un’altra citazione letteraria, questa volta del famoso testo medievale, scritto probabilmente da Tommaso da Kempis, sui giusti comportamenti da seguire per il raggiungimento della perfezione ascetica. Più che dell'”imitazione” morale della vita di Cristo, però, l’opera di Cuoghi sembra parlarci di una ossessiva ripetizione fisica, materiale, corporea. Negli stanzini ricavati all’interno di questo straniante “luogo sacro”, corpi scultorei, stesi orizzontalmente e con le braccia spalancate, Cristi plurali deposti dalla croce, sono offerti alla vista dello spettatore come reliquie interroganti.

Solo dopo aver percorso questo labirinto sintetico ci si rende conto che il rumore e i sibili che riempiono enigmaticamente lo spazio sono prodotti da macchine, forni, apparecchi e aggeggi di vario tipo, atti alla produzione in tempo reale di questi “calchi di Cristo” con impasti di sostanze organiche, in costante evoluzione e decomposizione per tutto l’arco di tempo della mostra. La meccanicità quasi industriale di questa produzione di reliquie, una sorta di iper-produzione tecnica di corpi di Frankenstein, si fonde, nell’opera di Cuoghi, con il bisogno antico ma sempre attuale dell’icona sacra, il simbolo muto da venerare, la cui aura sprigiona energia silenziosa. La sacralità di questi corpi diventa sinfonia nell’ultima parete della sala, dove i brandelli in decomposizione delle singole sculture sono giustapposti su un fondo scuro, ed illuminati drammaticamente.

Buio, dubbio e icone sono centrali anche nell’opera di Adelita Husni-Bey, che accoglie il visitatore nella sala successiva del Padiglione. Il corpo centrale di “The Reading / La seduta” è una video-installazione che riprende una lettura di tarocchi cui partecipano dei teenager della città di New York, in un ambiente chiuso, intimo e poco illuminato. I dieci tarocchi, concepiti e disegnati dall’artista stessa, di nuovo immagini-simbolo magiche e interroganti, sono il veicolo che rende possibile il dialogo e la discussione tra i giovani ragazzi di concetti come lo sfruttamento ambientale, la vulnerabilità della terra, il colonialismo, il valore attribuito al territorio. Questo lavoro, che ha come motivo d’origine la protesta tuttora in corso di Standing Rock, l’opposizione di diverse tribù indiane all’apertura dell’oleodotto Dakota Access Pipeline da parte del governo statunitense, fonde, nella sua globalità, la necessità di discutere di temi ambientali ed economici attuali alla riflessione, più introspettiva e personale, sul valore universale della terra e sul rapporto simbiotico tra essa e gli uomini, unita poi a una sorta di inevitabile fascinazione per la cartomanzia, pratica assolutamente “anti-illuministica” e per questo più generalmente marginalizzata dalla società cartesiana contemporanea.

Meno eloquente ma, come l’opera di Cuoghi, affascinante ed enigmatica è l’installazione di Andreotta Calò, l’ultima gemma di questa triade italiana. “La fine del mondo” è un gesto architettonico di grande pulizia e semplicità formale e, ciononostante, di grande impatto visivo ed emotivo: procedendo dalla sala della Husni-Bey, ci si inoltra in una fitta rete di ponteggi di alluminio, una foresta secca e ordinata di pali verticali che conducono ad una scalinata. In una generale oscurità, la stessa che impregna l’atmosfera globale del Padiglione, si percorrono cautamente tutti gli scalini, che portano ad un soppalco rialzato sulla sala. Qui, la sorpresa e lo spaesamento: il grande soffitto a travi dell’ex cantiere navale veneziano viene riflesso da uno specchio d’acqua immenso, generando un senso di vertigine e di temporanea incapacità di cogliere la struttura reale dello spazio.

Le sensazioni di vulnerabilità, sgomento, incertezza e disorientamento che si provano all’interno di questo Padiglione italiano si stagliano contro l’incredulità e lo stordimento dati dalla piatta spettacolarizzazione nella mostra internazionale di Christine Macel (articolo qui). Non è vero, come vorrebbe far credere il sito istituzionale della Biennale, che Il mondo magico della Alemani si lega perfettamente alla linea guida della direttrice artistica attuale, ispirato ai temi dell’emozionalità, della cosmologia e di una sorta di esoterismo. Il Padiglione italiano dà piena vita ad universi estetici complessi, come dice la stessa curatrice, crea mondi del dubbio e della meraviglia, senza spavalderie o ingenuità romanticamente anacronistiche: il magico di cui qui si vuol dare percezione non deriva da una visione schematicamente dualistica che vede la società capitalista contrapporsi all’arte, la ragione al sentimento, la produzione industriale alla creazione artistica, libera da gioghi o responsabilità politiche.

La Alemani dà sapientemente spazio alla voce di tre artisti che tutt’altro fanno che dare un messaggio lineare e semplicistico di cosa l’arte sia: al contrario interrogano, lasciano in sospeso, meravigliano o disgustano lo spettatore, e ridiscutono l’usuale piattezza visiva e olfattiva dello sterile white cube illuminato al neon. In questo nido l’arte è davvero un mondo magico, che interroga in silenzio, e non dà risposte.

 

 

57. Esposizione Internazionale d’Arte

fino al 26 novembre 2017

 

 

Fonti: autrice,

http://www.labiennale.org/it/arte/2017/padiglione-italia

http://www.ilmondomagico2017.it/

espresso.repubblica.it/visioni/cultura/2017/05/30/news/roberto-cuoghi-artista-oltre-i-tabu-1.302903

Artribune.com

 

Foto: copertina

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