Che linguaggio parlano i bot di Facebook?

Un nuovo pericolo si aggira tra i meandri del Web: i bot di Facebook hanno iniziato a parlare lingue sconosciute. I loro stessi creatori hanno assistito con terrore a questo avvenimento, al punto che, presi dalla paura, hanno subito deciso di disattivare le proprie creature. Da alcune settimane report allarmati di questo tipo circolano tra i siti web d’informazione, sulle radio e le TV, conditi da svariati riferimenti filmici e televisivi, che vanno dal cinema d’autore (2001 Odissea nello spazio), alle grandi epopee anni ’90 (Terminator), fino alle ultime serie TV di successo (Westworld). Siamo già arrivati a questo punto: un’apocalisse robot è alle porte?

Non è però passato molto tempo prima che i professionisti dell’anti-bufala insorgessero contro simili scritti, denunciando letture sensazionalistiche per una vicenda in realtà piuttosto banale. Con attivissimo tempismo non potevano mancare i blogger che, con dovizia di particolari, dall’Olimpo del loro sapere hanno disperso le nebbie dell’errore, rivelando che i bot in realtà non sono robot, ma semplici chat automatizzate, che in questo caso non erano state ben configurate, con il risultato che, impostate per imparare a vicenda come migliorarsi e non essendo stato settato il vincolo di parlare solamente in lingua inglese, i bot avrebbero finito per focalizzarsi solo sulle due informazioni per loro pertinenti con una degradazione progressiva del linguaggio, alla fine ridotto ai due soli concetti chiave io e palla (l’esperimento prevedeva che i due bot avrebbero dovuto condurre una trattativa per il possesso di una palla). La sentenza inappellabile emessa dagli autoproclamati profeti del positivismo del terzo millennio (il fact checking) è stata quindi implacabile: tanto rumore per nulla!

La loro ricostruzione è certamente ineccepibile nella sostanza, ma va anche detto che, pur se sommersa da una narrazione di taglio più scandalistico, era anche ciò che praticamente tutte le fonti da loro tanto criticate lasciavano comunque trapelare. Il punto sta proprio qui: il giornalismo è narrazione e narrazione significa, non va mai dimenticato, usare tecniche narrative per dare forma a un racconto che possa rendere interessanti e accattivanti dei fatti bruti. L’articolo di giornale (e ancora di più, per la sua natura audiovisiva, il servizio televisivo) si collocano maggiormente nella zona del romanzo piuttosto che in quella del saggio. Anche se pericoloso, non può quindi stupire più di tanto che le notizie siano rese conformi a una certa narrazione attraverso forzature retoriche e testuali.

Gli stessi rimandi cinematografici tanto criticati dagli esperti di fact checking sono indubbiamente eccessivi nella sostanza, ma tutt’altro che fuori luogo a livello di strategia narrativa: già loro da soli riescono a costruire una narrazione avvincente intorno a un fatto che altrimenti potrebbe interessare solo a qualche nerd. A questo poi bisogna aggiungere ancora una volta la scarsa consapevolezza filologica che queste operazioni di debunking italiane spesso mettono in evidenza: non basta citare tanti articoli avversi se tutti si rifanno alla stessa fonte. Del resto, poi, come già si era messo in evidenza nel caso della Blue Whale, le fonti originarie straniere spesso si rivelano in realtà più problematiche rispetto alla loro resa nel contesto italiano. Uno degli articoli più citati in ottica di demistificazione non si limita a mettere in guardia dalle esagerazioni virali, ma riflette anche sul fatto che non tutte le preoccupazioni sono infondate: i bot non hanno certo raggiunto l’autocoscienza né hanno creato consapevolmente una lingua (e nemmeno potrebbero), ma la loro iterazione ha dato vita a un linguaggio, che si può paragonare ai linguaggi che noi abbiamo creato per far dialogare tra loro dispositivi Bluetooth o un browser con un sito Web. E di esempi di questo tipo se ne potrebbero fare tanti altri: questi linguaggi che permettono a dispositivi diversi di comunicare tra loro vengono definiti linguaggi informatici o API, richiedono parecchio lavoro (umano) per la loro creazione e standardizzazione. Il fatto che queste stesse tecnologie da sole ne potrebbero creare altri, potenzialmente da noi non previsti (o peggio ancora non completamente compresi nella loro logica), dovrebbe comunque essere oggetto di qualche riflessione: le implicazioni non sono di poco conto.

Fonti: gcitalia.it, angolonerd.org, lastampa.it, tg24.sky.it, corriere.it, ilfattoquotidiano.it, attivissimo.blogspot.it, davidpuente.it, zeusnews.it, agi.it, wired.it, focus.it, ilpost.it, justnerd.it, leganerd.com, cnbc.comfastcodedesign.com, losbuffo.com

Foto: credits

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.