Spotify ripulisce il suo catalogo dal White Power?

All’indomani degli scontri di piazza a Charlottesville dello scorso agosto, si è riacceso prepotentemente in Occidente il dibattito sulla libertà di espressione tra coloro che si oppongono alle idee democratiche di uguaglianza sociale, prevalentemente gruppi di estrema destra xenofobi e suprematisti, ed attivisti antirazzisti. La morte di Heather Heyer, travolta da un militante neonazista che si è lanciato contro il corteo di risposta alla protesta integralista, e il tiepido intervento di Trump sull’accaduto hanno persuaso alcune piattaforme di streaming ad agire contro la diffusione di materiale musicale a sfondo razzista.

A qualche giorno di distanza dai fatti in Virginia, Spotify ha iniziato a rimuovere dal proprio catalogo on demand un cospicuo numero di gruppi, principalmente di musica punk e metal, i cui brani veicolano messaggi di intolleranza sulla supremazia della comunità bianca in America. Si parla di circa 40 band coinvolte, scovate da Paul Resnikoff, ideatore del portale Digital Music News, già in fase di controllo da mesi dal Southern Poverty Law Center.

Insieme a Spotify, che ha sottolineato che deve essere però compito primario delle etichette discografiche frenare la diffusione di materiale musicale pericoloso, anche Deezer si è interessata alla causa e ha intrapreso i primi passi per la cancellazione dalla propria libreria di brani la discografia degli artisti coinvolti: dagli italiani Legittima Offesa ai Skinfull e ai The Spear of Longinus.

In verità, già nel 2014 i vertici di Spotify erano stati messi al corrente che alcuni gruppi neonazisti utilizzavano regolarmente il servizio per la pubblicazione dei loro brani a sostegno dell’autorità suprema bianca e di quegli slogan sventolati con gli striscioni nelle manifestazioni a Charlottesville (“White lives matter”). All’epoca però, solamente Apple rispose all’appello, eliminando da iTunes circa il 40% degli artisti segnalati.

Spotify risulta attualmente tra i servizi di streaming musicali più in crescita in Occidente e dovrebbe essere pronta a quotarsi in borsa entro la fine dell’anno; la posizione presa contro brani che incitano all’odio, rimbalzata su tutti i più importanti network di informazione, è significativa e crea un precedente nella storia della piattaforma. Il modo in cui Spotify e gli altri colossi del mercato musicale cambieranno la politica della condivisione dei brani è ancora sconosciuto: come si porranno le aziende nei confronti di pezzi che alludono alla violenza di genere o all’uso di sostanze stupefacenti?

 

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