Siamo abituati a vedere e giudicare la pubblicità come una grande macchina con un unico fine: renderci schiavi dei consumi e prodotti privilegiati dallo Stato e dai big dell’economia e dell’industria. Questa, per quanto desolante e inquietante, è la realtà dipinta dall’era dei consumi, i cui interpreti e spettatori più accaniti siamo proprio noi “cittadini-consumatori”. Questo evolutivo sistema di controllo, che potremmo chiamare il “Grande Fratello” (storico personaggio del romanzo 1984 di George Orwell) della generazione 2.0, racchiude in sé un importante incarico: la pubblicità come diffusore di cultura a livello mondiale.
“La pubblicità veicola la lingua, i gusti, la mentalità, i bisogni, in una parola la cultura di un paese. Per questo è importante insegnare a leggere la pubblicità, in quanto si tratta di materiale autentico che rappresenta uno spaccato dell’Italia nel momento in cui il messaggio viene prodotto e trasmesso. Imparare a leggere la pubblicità vuol dire, quindi, acquisire gli strumenti per poter seguire l’evoluzione di una cultura, egregiamente rappresentata in spot televisivi, radiofonici, su internet, giornali e manifesti”. (Italica, Elisabetta Pavan).
Questo moderno, ma allo stesso tempo assodato, strumento di unificazione e aggregazione sociale, grazie alla sua flessibilità e reperibilità può essere visto e usato come metodo di insegnamento tra le generazioni più giovani. Un espediente innovativo e accattivante che, per la sua unicità e originalità, è in grado di fomentare la curiosità tra gli adolescenti, governati da un diffuso senso di disinteresse verso la storia, tradizione e passato proprio della nostra cultura. Ciò che sintetizza meglio questa realtà è l’acronimo ROAR, individuato dallo studioso italo-canadese Mollica nel 1979:
–Rompere la monotonia;
–Ottenere risultati;
–Aumentare il coinvolgimento degli studenti;
–Rendere il compito più interessante.
Questa dualità tra cultura e pubblicità si può riscontrare anche in icone e dipinti trasposti su un piano commerciale e promozionale; e gli esempi a nostra disposizione sono tutt’altro che esigui.
Le famosissime cartelle di Andy Wharol, dove al posto di nove Marilyn sono raffigurate quattro lattine di Pepsi.
La cultura, dunque, è solo apparentemente distante dal mondo promozionale e delle vendite. Al contrario, essa è contenuta nello scrigno della pubblicità come bene prezioso e indispensabile per sensibilizzare la curiosità dei suoi ascoltatori, consentendo così una progressiva e costante crescita a livello culturale e personale.
Fonti:
- https://www.jstor.org/stable/23474950?seq=1#page_scan_tab_contents
- http://www.arte.rai.it/gallery-refresh/20-irriverenti-pubblicit%C3%A0-ispirate-dal-mondo-dellarte/553/0/default.aspx
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