Plot Opera Teorie: la stupidità porta alla tragedia?

Di Ilaria Zibetti

Il rapporto tra matematica e musica è notorio, per cui userò un’equazione per esprimere una mia (personalissima e discutibile) teoria.

Tragedia : Stupidità = Intelligenza : Commedia

Certo, è una forma semplicistica, però lasciatemi spiegare. Dopo anni di ascolto e approfondimento del repertorio operistico, azzardo questa ipotesi. Nelle commedie liriche i personaggi fanno spesso a gare sullo sfoggio di astuzia. Prendendo ad esempio “Le nozze di Figaro” di Mozart, dal Conte a Susanna, da Figaro a Marcellina, ognuno mette in campo tutta la propria intelligenza per ottenere felicemente l’obiettivo. I travestimenti, le mezze verità, le contromosse non sono solo espedienti che scaturiscono comicità, bensì elementi di una lotta tra cervelli fini il cui risultato è immancabilmente il giubilo e la riconciliazione con le doppie nozze.

Si pensi anche al “Don Pasquale” di Donizetti, dove il Dottor Malatesta e Norina sono veri artifici della situazione per condurre il vecchio Don Pasquale e ricapitolare sui suoi propositi verso il nipote Ernesto. Un mix di recitazione, inganni e bugie a fin di bene che fanno toccare con mano che “Ben è scemo di cervello chi s’ammoglia in vecchia età!”

E come non citare Rossini, maestro della burla e dell’astuzia? “Il barbiere di Siviglia“, “La scala di seta“, “Il signor Bruschino” e l’elenco sarebbe lungo per mostrare la varietà di stratagemmi, civetterie calcolate e mosse attuate per conquistare soprattutto le persone amate.

Al contrario ho spesso riscontrato come nella tragedia (tranne alcuni casi) spesso l’infelice conclusione sia determinata dalla stoltezza dei personaggi che sia ingenuità, che sia stupidità o altro.

In “Rigoletto” di Verdi, Gilda decide di sacrificarsi per amore del fedifrago e mentitore Duca di Mantova. Sarà la gioventù, sarà l’animo romanticamente devoto della ragazza al sogno di un sentimento sincero… ma la sua dipartita era tranquillamente evitabile se avesse avuto un po’ più di amor proprio e fosse partita per Verona come le aveva suggerito il padre. Era stata usata e ingannata, con tanto di prova di infedeltà davanti al naso con la scena alla locanda. Ma lei non ha riflettuto nemmeno in quel momento. Sulla stessa lunghezza d’onda una delle storie più commoventi: “Madama Butterfly” di Puccini. Emblema della testarda ingenuità, affronta povertà, disonore e umiliazioni perché fermamente convinta che il marito americano, Pinkerton, torni a lei. Dopo tre anni di assenza e senza manco una cartolina. Un paio di domande sarebbe stato umano farsele, ma non Butterfly. Solo alla fine, di fronte alla nuova sposa dell’amato, comprende ogni cosa e non potendo vivere in un mondo dove i suoi sogni sono distrutti, privo financo del figlio adorato, decide di suicidarsi. No, anche volendo criticarla è difficile non commuoversi.

Ne “Il trovatore” – sempre di Verdi – la poca perspicacia di Manrico non lo ha spinto ad interrogare meglio Azucena e soprattutto non fare una semplice somma per giungere alla conclusione di essere proprio lui il figlio scomparso anni prima del Conte. Quindi anche fratello dell’attuale Conte, contro il quale non riesce neanche a scagliare la spada in battaglia. Il punto cruciale è proprio il dialogo che avviene tra i due nel secondo atto, quando Azucena narra a Manrico di quando fu uccisa la propria madre per falsa accusa, di come si sia voluta vendicare rapendo il figlio del Conte e di come per errore abbia gettato nel fuoco il proprio figlio nel rogo e non il nobile fagottino. Dunque Manrico avrebbe dovuto esclamare: “Del Conte figlio son io! Oh quale arcano!” No, invece. Azucena inventa un “scusa ho straparlato, io ti ho amato come una madre ecc” e tanti saluti all’ovvio.

La mancata o mala comunicazione è il flagello che fatalmente porta alla tragedia. La lista delle opere in cui questo elemento compare e fa danni è lunga, per cui citerei alcune: “Aida“, “Giovanna d’Arco“, “La Gioconda“, “I puritani“… Una informazione omessa più o meno volontariamente scatena la reazione di un personaggio che fa partire una catena di eventi che portano a svariate morti. Per non parlare di “Romeo e Giulietta”, nelle sue diverse trasposizioni liriche, la tragedia per eccellenza in cui le comunicazioni fanno acqua da tutte le parti.

Da questa breve casistica sono esclusi i casi di malattia, come Mimì e Violetta. In quei casi non c’è furbizia che tenga: la tisi non lasciava scampo.

E i casi di sfortuna alla “Forza del destino“? Credo dipenda dalla caratterizzazione. Machiavelli, acuto politico, storico e scrittore, diceva nel suo celeberrimo “Il Principe“, che la sorte umana è divisa in egual misura tra Fortuna e Virtù, con leggera predominanza di quest’ultima. Per cui l’uomo deve cercare di fare la propria parte secondo le proprie abilità, allorché invece di inveire contro la donna amata, caro Manrico, falla spiegare e scoprirai che si è avvelenata per conservarsi pura verso il tuo amore. Spoiler di una parte de “Il trovatore”.

Scherzi a parte, sappiamo bene che non ci sarebbe dramma o catarsi se i personaggi tragici avessero l’acume dei colleghi delle commedie. E l’Opera è amata per la debolezza, l’esagerazione, la fallibilità dei suoi protagonisti, regalandoci indimenticabili e stupende pagine di poesia e musica.

 

Immagine:
Fonte Wikipedia

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