Seneca e il saggio stoico: una soluzione alla disperazione per la crisi?

Viviamo in un periodo in cui ogni giorno i telegiornali riempiono la sezione di cronaca di fatti attinenti a suicidi per una situazione economica grave e senza via d’uscita. Il capitalismo e la globalizzazione ci hanno insegnato a comprare una cosa e subito dopo a volerne un’altra, accrescendo il nostro fabbisogno di necessità pur se non necessario. Nell’antichità molti filosofi tentarono di dare una risposta ai desideri dell’individuo e tra questi vi fu Lucio Anneo Seneca. Se ci attenessimo al suo tipo di visione, riusciremmo a vivere meglio le mancanze non necessarie?

Nelle Epistole a Lucilio, Seneca cerca di trasmettere al suo destinatario una serie di ideali di comportamento che appartengono al saggio stoico. Il filosofo latino intende istruire Lucilio su come soffocare il desiderio di beni e ricchezze non necessari al fine di mantenere l’animo sereno e privo della tensione data dalle passioni. In particolare, nell’epistola 18, Seneca propone di esercitarsi, qualche giorno, alla povertà: mangiare cibi semplici e dormire su giacigli duri e scarni. Secondo il filosofo, l’abitudine ad avere poco salverebbe l’anima dai tormenti portati dai desideri in momenti di ricchezza ed agiatezza economica. Questa problematica si potrebbe ricollegare alla nostra epoca, in cui le aziende e il mercato globale spingono sempre di più il consumatore ad acquistare, con offerte spesso molto convenienti, oggetti che nella realtà effettiva non ci servirebbero. Nel momento in cui il cliente non ha sufficiente liquidità da offrire per questo scambio, l’economia lo taglia fuori dal suo sistema e la sua mente, ormai abituata ad un circolo vizioso senza fine, sente l’astinenza causata da un meccanismo di assuefazione. Se l’individuo riuscisse a controllare questa pulsione, secondo Seneca, il problema della disperazione e della tensione incontrollata non si presenterebbe. Certo, questa filosofia ha i suoi pro, come abbiamo appena visto, ma anche i suoi contro: c’è da dire infatti che Seneca apparteneva ai ranghi più alti della società romana e che detenne cariche prestigiose a livello politico: per fare solo un esempio, fu consigliere e maestro di Nerone. Questo comportava il fatto che la sua vita scorresse circondata da agi e ricchezze. Ma chi lo accusava di ipocrisia, Seneca rispondeva che la via per la saggezza era per lui ancora lunga e che si sarebbe impegnato per raggiungerla il prima possibile. Queste parole, ovviamente, non convinsero più di tanto gli accusatori.

La questione dell’assuefazione è un punto critico dell’economia del XXI secolo, tanto da diventare un problema anche per l’esaurimento delle risorse. Se nel singolo la filosofia di Seneca appare difficilmente applicabile, cosa però non permetterebbe un cambiamento di visione da parte delle grandi aziende e multinazionali?

 

 

 

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