Dov’è finita la poesia?

O forse la domanda migliore è: che cosa è diventata la poesia? Negli anni del post-moderno, il concetto di lirica impegnata sembra ormai essersi perduto nei meandri degli scaffali di librerie note e poco note, in mezzo ai cartellini e agli adesivi degli sconti. Ma è un problema di rassegnazione, pigrizia, o convenienza?

Forse molto di più l’ultima possibilità sembra essere quella che traina il carro della poesia attuale, insieme ad una buona percentuale delle prime due. L’intimismo ormai, sembra aver conquistato ogni tipo di genere narrativo, a parte alcune eccezioni come il fenomeno George R. R. Martin, che tenta di riutilizzare in maniera tutta post-moderna il fantastico per mescolarlo con il noir e la critica sociale, o Joanne Kathleen Rowling, che più di aver dato alla luce l’ennesimo teen romance, pare aver voluto analizzare il problema del “giovane” in una diversa e straniante prospettiva.  Specialmente per quanto riguarda la poesia, ormai non si può più parlare né di verso libero scelto né di sperimentazione: si parla piuttosto di un “diario personale in versi”, di cui il mercato librario è ormai pieno e saturo. Insomma, dov’è finito il carattere sociale ed avanguardistico o extra storico della poesia? Dov’è che si è nascosta la critica interna e l’azzardo formale? A quanto pare, l’omicidio è avvenuto senza che l’assassino abbia lasciato tracce. Se non che, il segno che lascia la fiction, ci porta non solo alla perdita di interesse nei confronti dell’originalità e della novità, ma anche nei confronti del mercato. In tempi di crisi, del resto, quale poeta o scrittore giovane non sfrutterebbe l’onda pur di ottenere una piccola pubblicazione, magari non pagata o a sue spese? Probabilmente, con l’andazzo del “meglio questo che niente”, nessuno si azzarderebbe a rifiutare una proposta, anche se umanamente scandalosa o poco rispettosa della figura dell’intellettuale giovane. Ergo sì, il problema è l’essersi piegati alla convenienza e alla rassegnazione. E la pigrizia? La pigrizia potrebbe essere interrogata nel momento in cui la produzione poetica pare essersi appiattita. L’argomento appare unico: l’Io. Un Io che si rimpiange e piange sulle proprie sofferenze, senza tentare di vedere una luce in fondo al tunnel o di reagire: la poesia, pare essere un serbatoio di frustrazioni e sofferenze che però rimangono lì depositate, come un relitto in fondo al mare e senza possibilità d’evoluzione.

È davvero questa la fine della poesia? Una fiction personale? Un secchio dove vengono gettati gli scarti, senza che l’esterno venga considerato? L’augurio è che non sia così ancora per molto, ma purtroppo, le tendenze possono essere verificate esclusivamente nel tempo.

 

 

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