Una pagina -non- bianca

Deve avere dei fantasmi, chi lascia una pagina bianca. L’annichilimento di ogni sentimento, la sistematica eliminazione della propria linfa vitale. I fantasmi, bianchi.
È la timidezza, una pagina bianca. Paura di rovinarla, una penna troppo invadente, un tratto troppo carico, una linea fuori posto. Una parola sbagliata, una frase stridente ed è rovinata, va cambiata, non va più bene. Immacolata, la pagina bianca. Pura genuina leggera innocente ingenua pagina bianca. È superbia, la pagina bianca. Sopraffazione, impeto, voglia di riempire quell’immagine abbagliante di se stessi, di strapparsi di dosso i sentimenti e metterli a riposare, in pace, su un foglio. Ma i pensieri non sono fatti per riposare in pace. Pensieri, la pagina bianca. Sembra liberatorio, alleggerire la propria anima affidando la custodia della mente a un pezzo di carta. Facile riempire una pagina bianca. Difficile gestirla, dominarla, controllarla.
Uno scrittore annoiato guarda il tramonto, scrive un romanzo, la sua prosa parla del tramonto. Riempie gli spazi vuoti di sprazzi di colore, rosa, arancione, rosso, descrive ogni singolo dettaglio. Uno scrittore annoiato parla del tramonto.
Un poeta guarda il tramonto, scrive una poesia, i versi parlano di lui. Una strofa, tre versi. Una rima baciata in mezzo al foglio, tutto bianco intorno. Un poeta descrive il tramonto e parla di sé.
E la pagina rimane bianca. Un tratto di penna nero, impercettibile, centrale, elegante, conciso.
Ordine, prima di affrontare una pagina bianca. Penna nera, niente colori eccentrici. Un pomeriggio estivo non è un buon momento. Contemplare paesaggi rallenta il flusso di pensieri ed è lì che la pagina bianca colpisce, annebbiando ogni sensazione, rilassando i sensi.
È inquietudine, la pagina bianca. Nervi tesi, desideri dicotomicamente irrealizzabili. Divorare il foglio e con lui la carta e con lei la vita, la pagina bianca. È assenza di noia, è sintomo di un cuore grande, una mente brillante, uno spirito umile. L’anima intrisa di pensieri incapaci di trovare una direzione, sentimenti provati troppo intensamente, parole incastrate nel paradosso dell’ineffabilità, un corpo troppo pieno, troppo affezionato al proprio forte sentire per lasciarlo riposare su un pezzo di carta.
Pensa poco o male, chi riempie una pagina bianca. Non sono le parole lo specchio delle emozioni. È il vuoto il segnale di un cuore che batte.
Un cuore che batte non riempie una pagina bianca, non ha il coraggio di rovesciarsi su un foglio e guardarsi dall’alto, rimarrebbe spaventato dalla sua fragilità. Uno scrittore annoiato si nutrirebbe di pagine bianche come fossero cioccolatini, uno scrittore annoiato riuscirebbe a parlare di tutto senza parlare di sé. Uno scrittore annoiato vincerebbe contro la pagina bianca. Chiunque riuscisse a mettersi da parte, vincerebbe. Il problema sorge se la corrente di pensieri scorre troppo velocemente, dalla testa passa allo stomaco, alle gambe, le braccia, le dita che ormai, piene di parole, non riescono a selezionare le più importanti.
Pecca di tracotanza, chi riempie la pagina bianca. Si getta con foga confuso dall’impeto delle parole e lascia che scorrano, dimenticandosi di aver lasciato indietro se stesso. Si mette da parte, chi riempie la pagina bianca. Uno sportivo ormai stanco, vecchio e masochista. Perdente in partenza. La pagina bianca ha la meglio su chiunque si trovi davanti: un cuore che batte ne rimane annichilito, uno scrittore annoiato, svuotato di sentimenti –ammesso che possa provare sentimenti chi, da scrittore, si concede il lusso di definire la noia uno stato d’animo-.
Uno scrittore talentuoso non può sostenere lo sguardo freddo, gelido della pagina bianca. Comincia in medias res, dissimulando più o meno abilmente la propria inquietudine. Un foglio bianco specchio della propria anima, potenzialmente pronto ad accogliere i segreti, i fantasmi che ogni scrittore non-annoiato cerca di far marcire nell’inferno dantesco quale è il punto più profondo e vivo della propria coscienza. Troppo accogliente, la pagina bianca.
Per uno scrittore talentuoso, è dolorosa la pagina bianca. È dilaniato dalla volontà di riempirla e dall’inettitudine che quello spazio bianco provoca, rendendolo impotente. Un intimo dissidio, una battaglia tutta personale: lo scrittore contro le parole. Quod me nutrit me destruit, in pratica. Si riconosce, il romanzo di uno scrittore talentuoso: piccole frasi, mille incisi, sarcasmo, poche digressioni. “E la sventurata rispose”. Punto. Tutto, in un singolo periodo: soggetto e verbo, niente complementi. Tre parole che racchiudono tutto: paura, angoscia, ironia, disprezzo, compassione, morte, invidia, sangue, amore, desiderio, frustrazione. Ecco l’effetto della pagina bianca. L’autore si sente annichilito dal peso dei suoi pensieri, ha troppo spazio per esporli, è abituato a tenersi tutto dentro, e quindi entra in crisi, scrivendo un periodo asciutto, sintetico, essenziale. E geniale, in alcuni casi.
Bisogna partire dal presupposto che uno scrittore annoiato non può che essere superbo, certamente non umile; e che chiunque non sia umile abbia una gran voglia di mostrare ogni singola sfaccettatura dei magniloquenti pensieri che la sua mente produce; sarà certamente lampante agli occhi di tutti che se l’umiltà produce silenzio, la superbia produce fiumi di parole.
Eccolo lì, allora, uno scrittore annoiato che si accinge a scrivere un romanzo. Descrive ogni singolo dettaglio, i personaggi costruiti secondo uno schema fortemente autocelebrativo e autobiografico, ognuno di loro ha una sfaccettatura della personalità dell’autore: irriverenza, intelligenza, bellezza, saggezza. Ogni personaggio è una piccola perla nel mare di diamanti delle qualità dell’autore. Barocche descrizioni di palazzi, giardini, case, automobili. Ogni oggetto parla di sé, l’autore non parla di nessuno. Il lettore affronta le prime righe con interesse, cerca di immaginare le caratteristiche di quel palazzo così possente, alto, massiccio, lussuoso. Ma poi si perde. Dopo i primi aggettivi, comincia a guardarsi intorno. Che ore saranno? Dovrei uscire. È un’estate tiepida. La noia dell’autore si riflette, per induzione, sul lettore. Non c’è niente da fare: uno scrittore annoiato produrrà lettori annoiati.
Uno scrittore talentuoso, invece, produrrà lettori inquieti.
“Solo gli scrittori mediocri sono tranquillizzanti”. Ed è proprio lo scrittore talentuoso che non riesce a convivere con il suo talento, ha paura di perderlo sul bianco del foglio, vuole tenerlo tutto per sé. E se le parole che scrive poi non tornassero più indietro, se non fossero più sue? Parole come patrimonio comune, patrimonio dei lettori. Che ruolo ha nella società uno scrittore per imporre la propria inquietudine nell’anima dei suoi lettori? È suo compito spingerli a formulare un’idea, delle opinioni, una storia magari.
La pagina rimane bianca perché c’è troppo poco spazio per la testa di uno scrittore talentuoso, che teme di perdersi. Chiunque si perderebbe in una pagina bianca. La pagina nera invece, fitta, piena di parole, di punteggiatura, non lascia spazio per pensare. Le virgole. Riempire una pagina bianca di virgole per paura che qualcun altro possa insinuarsi nei propri spazi bianchi e riempirli con un’altra penna, che qualcuno possa colorare la propria vita di un verde brillante. Lo scrittore preferisce colorare la sua vita di nero, purché sia lui a farlo.
Ogni scrittore ha la sua personalissima pagina bianca, ognuno deve colorarla come meglio crede, a seconda della profondità del suo pensiero. O lasciarla bianca, se il cuore batte troppo forte.
I poeti non riempiono tutto il foglio ma solo una minima porzione di spazio con le strofe, e le strofe con i versi, educate catene di parole che vanno subito a capo per non risultare sfacciate. I poeti hanno davvero paura della pagina bianca ma non temono di mostrarlo, rispettano il foglio e vanno umilmente a capo.
Gli spazi bianchi vengono rispettati, il poeta e la pagina dialogano, hanno trovato il loro equilibrio. Uno scrittore annoiato non riuscirebbe ad essere altrettanto sintetico, aggiungerebbe descrizioni, virgole, punti, spiegazioni.
Ma un poeta sa di non essere annoiato e di non annoiare. Il poeta si fida del suo lettore, della sua capacità di leggere tra le righe ed è proprio questo che gli chiede, di immaginare che possa esserci altro dietro alle parole. Il poeta lascia spazio al lettore, uno scrittore annoiato non dà alternative, copre tutto di nero ed è per questo che il lettore va avanti nella lettura, preferisce essere annoiato piuttosto che inquieto.
Non è quindi noia, la pagina bianca. È tutto fuorché noia. È proprio per questo che nessuno la rispetta, nessuno si ferma a guardarla, l’ansia di riempirla è tale che si rischia di scrivere banalità, nel migliore dei casi. Ogni opera dovrebbe cominciare con un’attenta contemplazione di quello che si ha davanti, di quello che la pagina bianca significa. La possibilità di scrivere. Nessuno dovrebbe dare per scontata questa occasione.
Un tramonto: linee di colori che si intrecciano nel cielo, il rosso del sole che si impallidisce sempre di più diventando arancione, poi giallo, poi rosa. Un’esplosione di colori, il mare che assume i colori del cielo e il cielo sgombro dalle nuvole, una barca in lontananza, dei pescatori. Una casa, sulla collina. Le onde che si infrangono sugli scogli neri, in contrasto con la schiuma bianca del mare. Un faro, in lontananza, una famiglia a tavola. I mattoni rossi del porto, il riflesso del sole sui tetti dei locali, il mare. Tutto è in armonia, tranquillo, sereno. Nessun rumore. La pace dei sensi.
Ecco uno scrittore annoiato: descrizioni su descrizioni, dettagli, spiega già tutto. Al lettore non rimane niente. E si annoia.
Un tramonto: Un’esperienza euforicamente disforica. Nostalgia, a tratti. Malinconia latente.
Uno scrittore talentuoso descrive sé stesso, non il tramonto. Uno scrittore talentuoso è talmente egocentrico e tormentato dai propri pensieri che non riesce a non rifletterli in qualsiasi oggetto osservi. E il tramonto diventa la sua anima, poi si perde.
Uno scrittore talentuoso si perde in continuazione, è per questo che non riesce ad affrontare la pagina bianca. E con lui rischia di perdersi il lettore, se non fa attenzione. Ma un lettore non annoiato e allenato può seguirlo, provando inquietudine, piacere, paura, interesse, timore, ma mai noia.
Una pagina bianca è un mare di parole, a ben guardare. È dallo stomaco che vengono le parole. Cercando di essere impersonali, imparziali, obiettivi, distaccati. Ma così non si rischia di perdere profondità? Un romanzo, una storia, un racconto del tutto eterodiegetico può entrare nel cuore, nell’anima dei lettori? E l’autore, cosa pensa? Dov’è? Un’opera provoca emozione solo se l’autore e il lettore riescono a entrare in sintonia, ad abbattere qualsiasi muro e diventare complici. Lo scrittore e il lettore, insieme, contro la pagina bianca. Una squadra vincente. Ma è la pagina bianca che forma lo scrittore ed è lo scrittore che forma il lettore in una scala quasi piramidale, dove il lettore è ai gradini più bassi, un passivo ricettore di inquietudine, o noia.
La sfida è solo dello scrittore, dunque. Le dita immobili, tutti i pensieri si annullano di fronte al bianco del foglio e rimane il nulla. Cosa vale la pena di essere scritto? La sua storia, una bella storia, una giornata al mare. Prova a scrivere qualche parola, cancella, riprova. Sente il peso del nulla sulle sue spalle, rinuncia. Va a fare una passeggiata, cerca ispirazioni ma tutto sembra svuotarsi di significato, niente è all’altezza della pagina bianca. Incolpa chi ha svuotato se stesso di significato, persone che hanno ferito la sua anima, non capisce che è della sofferenza che si nutre un lettore egoista. Ogni lettore è egoista, divora l’anima dell’autore, scava nel profondo e arricchisce la propria mente. Lo scrittore, invece, perde tutto. Bisogna essere generosi, per scrivere. E coraggiosi.
Una brutta malattia, la pagina bianca. Un privilegio forse, chi non prova un senso di straniamento, paura, annichilimento di fronte a un pezzo di carta continuerà a parlare di tutto e di niente. Non scriverà mai, metterà in fila parole che rimandano ad altro. Il lettore non potrà nutrirsi della sua anima e il suo lavoro sarà solo uno spreco di energia. Produrrà una banale letteratura di consumo, utile per chi non ha voglia di pensare.
Uno strumento di riflessione, la pagina bianca. Guardarla chiedendosi perché sia così difficile riempirla. Paura di rovinarla. Le dita fremono, la testa è sgombra, vuota. Dopo la prima lettera, ormai è rovinata. A quel punto, non si può far altro che andare avanti. Caricare la pagina, a costo di appesantirla. Come questa pagina, che è appesantita dalle virgole, un vile espediente per nascondere gli spazi bianchi, per non pensare. Ma gli scrittori –annoiati o talentuosi- sono bravi a nascondersi. Per farlo, usano la punteggiatura e la penna nera.
I più spaventati, la pagina bianca.

 

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