I Palazzi Celesti di Anselm Kiefer

In una ex stabilimento industriale dedicato alla valorizzazione di opere d’arte contemporanea, si innalzano i monumentali Palazzi Celesti di Anselm Kiefer. Si tratta di un’installazione permanente e site-specific, concepita in stretta relazione con il sito espositivo che la ospita e che fin dall’inaugurazione nel 2004, rendono Pirelli Hangar Bicocca uno dei luoghi più interessati e assolutamente da non perdere a Milano.

Kiefer, considerato come uno dei massimi esponenti della corrente Neo-espressionista, nasce in Germania nel 1945 tra le macerie della guerra; proprio la storia tedesca del periodo nazista, che ha portato all’annullamento dell’uomo nei confronti dei i drammi che stava vivendo, è il punto di partenza di tutta la produzione artistica di Kiefer, che si interroga su quale fosse il ruolo dell’artista dopo l’Olocausto.

Da qui nasce l’esigenza di narrare con forza i drammi della Shoah, schierandosi strenuamente contro la filosofia adorniana dell’impossibilità di creare arte dopo Auschwitz, ma andando anzi alla ricerca degli elementi filosofici, religiosi e simbolici che sono alla base degli eventi.

Quella di Kiefer è una poetica complessa, in cui convivono riferimenti alla filosofia tedesca, alla religiosità giudaico-cristiana, alla mitologia germanica che si uniscono ad un interesse dell’artista alla tradizione della mistica ebraica della Cabala, che comprende una serie di insegnamenti mistici ed esoterici per spiegare il rapporto tra l’infinità e l’universo finito. Uno dei temi principali della sua opera diventano anche, dopo numerosi viaggi in Egitto, India e America Centrale, le grandi strutture architettoniche del passato (la piramide, gli ziggurat o la mastaba), sempre rappresentate però in una condizione di rovina, simbolo della sconfitta dell’ambizione umana ad un elevarsi verso uno stadio superiore tendente al divino. Nel filone di questo suo interesse per le grandi architetture si inserisce il progetto de La Ribaute a Barjac (nel sud della Francia e residenza del artista fino al 2007). La Ribaute è una piccola e utopica città composta da eidfiici, scale e gallerie che si articolano per un vasto territorio nella campagna francese, esposte costantemente alle intemperie e quindi costrette ad un’imminente rovina. Proprio questo progetto anticipa ed ispira I Sette Palazzi Celesti.

L’installazione realizzata per Hangar Bicocca, deve il suo nome ai Palazzi descritti in un antico trattato ebraico, “Il libro dei Palazzi”, risalente al IV-V secolo d.C, dove si narra il simbolico cammino di iniziazione spirituale di colui che vuole arrivare al cospetto di Dio. I Sette Palazzi rappresentano il culmine della produzione artistica di Kiefer, sintetizzando i temi principali che avevano sempre caratterizzato il suo operato: la rappresentazione delle macerie dell’Occidente dopo la Seconda Guerra Mondiale, l’interpretazione della religione ebraica e la proiezione di un futuro possibile da cui l’artista ci invita a guardare le rovine del nostro presente. Le sette torri sono realizzate in cemento armato, utilizzando come elementi costruttivi container una volta adibiti al trasporto merci. Ogni palazzo ha un proprio soggetto e un proprio tema, che lo rende uguale e al tempo stesso tanto diverso da un altro.

 Prima Torre: Sefiroth.

È la prima ad essere stata realizzata, nonché la più bassa (14 metri). Una volta raggiunta la cima con lo sguardo, notiamo una pila di sette libri di piombo (considerato da Kiefer come l’unico materiale in grado di “sostenere il peso della storia umana”) e dieci nomi illuminati dal neon recanti i nomi ebraici delle Sefiroth, che nella prima citata Cabala rappresentano le espressioni e gli strumenti di Dio; esse compongono lo schema dell’Albero della Vita, che rappresenta il cammino di discesa lungo la quale le anime e le creature hanno raggiunto la loro forma attuale.

 Seconda Torre: Melancholia.

La torre prende il nome dall’omonima opera di Albrecht Dürer, rappresentazione allegorica della figura dell’artista. Secondo la filosofia del 500, gli artisti erano definiti “i nati sotto Saturno”, quindi sotto l’influenza astrale del pianeta della malinconia che pertanto modellasse il loro carattere contemplativo. Ai piedi della torre, il mondo contemporaneo è rappresentato sotto forma di lastre di vetro e strisce di carta, “le stelle cadenti”, contrassegnate da una serie di numeri corrispondenti alla classificazione dei corpi celesti utilizzata dalla NASA.

Terza Torre: Ararat.

La torre prende il nome dal monte dell’Asia Minore dove la Bibia ci riporta si sia arenato Mosè con l’Arca; l’Arca viene raffigurata attraverso un modellino stilizzato sulla cime della torre con duplice simbologia: da una parte un mezzo portatore di salvezza, ma al tempo stessa una nave da guerra, portatrice di distruzione.

Quarta Torre: Linee di campo magnetico.

È la torre più imponente, con un’altezza di 18 metri. È percorsa per tutta la sua struttura da una pellicola fotografica di piombo, che al suolo viene accostata ad una bobina cinematografica e ad una cinepresa (sempre in piombo). Abbiamo già prima accennato all’importanza data al piombo nell’opera di Kiefer, che viene in questa torre ad arricchirsi di un ulteriore significato: è un materiale che non può essere attraversato da radiazioni luminose, non può produrre nessuna immagine; diventa quindi il tentativo in primo luogo nazista di cancellare la cultura ebraica, ma anche esemplificazione della concezione dell’artista che “ogni opera cancella la precedente”.

Quinta e Sesta Torre: JH&WH

Le due torri sono complementari, entrambi alla base sono decorate con meteoriti di piombo che simboleggiano il mito della creazione e i cocci dei vasi in cui Dio volle infondere la vita, creando le “razze” della terra e la diaspora degli Ebrei. Ma quello che unisce le due torri è sicuramente il culmine, in cui campeggiano due scritte in neon, JH e WH, la cui unione produce il termine JAHWEH, impronunciabile per gli Ebrei per indicare Dio, secondo il comandamento “non pronunciare il nome di Dio invano”.

Settima Torre: Torre dei Quadri Cadenti

L’ultima torre rimanda il proprio nome agli oggetti che la percorrono dalla sommità fino ai piedi: una serie di cornici contenenti lastre di ferro, che si infrangono al suolo, ma che non contengono alcuna immagine. Ancora una volta Kiefer ci riporta in maniera brillante il tema dell’immagine mancante, ma soprattutto della perdita d’identità e soprattutto di umanità che domina negli anni della guerra.

Credits:

fonti: visita da parte dell’autrice

foto: www.pinterest.com

 

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