SPICCIOLI

Era un anziano signore, di poche parole e dai modi bruschi, in stile Scrooge avete presente? Era all’ultimo anno prima della pensione e ormai non gli interessava più fare carriera, voleva solamente ritirarsi e finire il resto dei suoi giorni su un lercio divano bestemmiando contro un telegiornale o una partita di calcio. Così non si accorse che, mentre tirava fuori il cellulare, gli scivolò fuori dalla tasca una moneta; come non sentire il tintinnio contro il pavimento di marmo? Non lo so, troppi problemi per la testa probabilmente, problemi comuni a tutti; quello stronzo del capo, la cena da riscaldare al microonde, quella puttana della moglie che si crede una grande cuoca e invece non sa neanche preparare un toast senza bruciarlo, la mensola della cucina da aggiustare e tutto questo tipo di cose totalmente futili che prendono un’assurda importanza facendola perdere a ciò che realmente conta. Come sua figlia, che non sentiva da anni, e la cui ultima notizia risaliva a sette o forse otto anni fa. Sapeva che aveva avuto un’altra bambina, Elena, ma da lì più niente, forse era il caso di metter fine a questa faida famigliare ma non ne trovava il coraggio; come poteva ripresentarsi dopo tutti quegli anni passati a mettere il lavoro prima di tutto? E come sperava di essere anche perdonato?
Tutti i lavoratori videro la moneta all’entrata ma nessuno ebbe il coraggio di raccoglierla: penseranno che sono così mal messo da mettermi a fare la carità! Se mi abbasso a prenderla mi guarderanno tutti male pensando che sono una poveraccia, meglio tirar dritto. Finchè una semplice segretaria, appena assunta e sfinita dalla prima settimana di lavoro, si chinò delicatamente maledicendo quei dannati tacchi e ci si comprò un ghiacciolo alla menta.

Lavorava da anni come cassiera in un supermercato, doveva mantenere tre figli ma tutto sommato a casa non se la cavavano male; certo, arrivavano a fine mese con qualche difficoltà però con il suo stipendio e quello del marito non si facevano mancare l’essenziale. Ormai la figlia più grande stava crescendo e presto avrebbe iniziato a dare un piccolo contributo in casa, in fondo era una brava ragazza. Era il figlio di mezzo a preoccuparla di più; non parlava, non mangiava neanche tanto, se provavi a chiedergli qualcosa ricevevi come risposta una specie di mugugno incomprensibile. Il marito diceva che era una fase: “è l’adolescenza cara, lascialo perdere” ma lei pensava ci fosse sotto qualcosa di strano e, non avrebbe mai voluto pensare una cosa del genere, iniziava ad avere quasi paura di quel ragazzo, le sembrava quasi malvagio e le ricordava sempre di più suo padre, con quei modi bruschi e arroganti, un padre che non sentiva da sette anni ormai. Erano i pensieri della notte questi, di quando non riesci a prendere sonno e le idee più assurde si intrufolano nella tua mente aggrappandosi con gli uncini al minimo sospetto. Generalmente il suo lavoro non le dispiaceva perché, come tutte le donne, le piaceva interessarsi alle altre persone e alla loro spesa; pensava che magari dovevano preparare una cena a lume di candela o un dolce per un compleanno o si stavano organizzando per una cena per conoscere i suoceri, in ogni caso tutto sembrava molto dolce da questo punto di vista. La cosa veramente odiosa però erano i centesimi. Nessuno li voleva, che fossero casalinghe o avvocati, tutti se ne uscivano con la tipica frase: “Il resto è mancia!” . Viene da chiedersi cosa ci si può comprare con quei miseri bronzini ma la cosa più fastidiosa fra tutte era il dover sorridere a quelle facce di merda che ti guardavano con pietà come a sentirsi dei grandi uomini che facevano un po’ di carità ad una misera cassiera. Illudersi di fare qualcosa per qualcuno messo peggio di te a volte può bastare a farci sentire umani.

Il volto dei due bambini si illuminò, come se fossero stati colpiti dal primo raggio di sole primaverile, alla vista di quel tappo di metallo, ricoperto di terra, che dopo ore passate a scavare, affiorava in superficie. Si guardarono con occhi pieni di gioia e con il tipico sorriso sdentato e dolce caratteristico di quell’età. Entrambi avevano discusso a lungo se fosse veramente quello il momento giusto per dissotterrare il loro piccolo tesoro e, dopo esser stati corrotti dall’uscita in edicola del loro fumetto preferito, decisero che sì, era il momento. Lo avevano seppellito alla fine dell’estate dopo aver fatto vari lavoretti, volevano essere sicuri di avere qualcosa da parte in caso di un urgenza e ora, alla fine del loro primo anno alla scuola elementare, avevano saggiamente deciso che il primo giorno di vacanze era proprio da goderselo al sole mangiando caramelle e leggendo del loro eroe. Il problema era che non riuscivano proprio a ricordare quanto ci fosse nel barattolo, loro pensavano che fosse l’equivalente di un centinaio di caramelle, una decina di fumetti e magari anche un gelato, ma non potevano averne l’assoluta certezza e poi in fondo non importava, erano sicuri di poter comprare il fumetto e ciò poteva bastare. Erano migliori amici da sempre, erano cresciuti insieme come fratello e sorella, e ora erano pronti a passare l’estate in campeggio sul lago con entrambe le famiglie ma era vitale che portassero anche il barattolo con il loro tesoro, avevano intenzione di seppellirlo proprio al lago, senza metterci i soldi dentro, cosa te ne fai in fondo quando hai sette anni? Robert voleva sigillarci la cassetta con tutte le loro canzoni preferite mentre Elena preferiva usare il registratore che le avevano regalato a Natale per incidere qualcosa di nuovo insieme, un pensiero magari. O avrebbero potuto solo parlare di quanto si volevano bene, anche se era troppo da femminucce.
Il volto dei due bambini si illuminò, raggio di sole a primavera, quando riuscirono a estrarre tutto il barattolo: sarebbe stata proprio una magnifica estate quella.

 A cura di Greta Cavallè

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