Intervista a Dalia Edizioni: come gestire una casa editrice

Al giorno d’oggi, il mercato del libro è dominato dai grandi nomi, quali Mondadori, Rizzoli, Giunti, solo per citarne alcuni. Eppure non tutti i libri pubblicati appartengono a questi. C’è un mondo più complesso e sconosciuto che si articola dietro i circa 61.000 libri che vengono pubblicati in Italia ogni anno: il mondo delle piccole case editrici. E come se la cavano questi piccoli pesci nell’oceano dell’editoria? Come sopravvivono? E come può venire in mente di aprire una casa editrice? Ho pensato di porre queste domande a qualcuno che ne sapesse sicuramente più di me e che fosse direttamente coinvolto nella questione: Silvano Finistauri e Roberta Argenti, editori della casa editrice Dalia Edizioni (di cui è socia anche Amelia Milardi, responsabile della parte grafica), nata nel ternano quattro anni fa. L’intervista si è svolta nel loro salotto, in un contesto molto amichevole e piuttosto informale. La prima cosa che ho chiesto è stata, naturalmente, come è nata la Dalia.

S: “La casa editrice nasce nelle nostre teste in una serata tremenda. Erano anni che collaboravamo (soprattutto Roberta) con varie situazioni editoriali, più o meno strutturate. Eravamo qui, sotto Natale, e ci chiedevamo “perché non ci proviamo noi?”. E io mi sono alzato e ho detto: “basta dire proviamoci, facciamolo”. Così quella sera ho aperto il computer e ho scritto un progetto, il progetto di una casa editrice. Abbiamo scritto quale sarebbe stato e come sarebbe stato strutturato: le collane che dovevamo ottenere e che tipo di figure dovevano collaborare con noi. Poi sono andato a dormire. Il giorno dopo l’ho riguardato, l’ho fatto vedere a Roberta, ci è piaciuto, e abbiamo iniziato a cercare qualcuno che potesse appoggiare la cosa. È partita dopo qualche mese un’associazione culturale, e abbiamo iniziato a capire in maniera molto lenta cosa volesse dire fare l’editore. A 4 anni da quel periodo, abbiamo ancora molte cose da imparare, ma siamo riusciti a renderne personali molte altre, siamo riusciti a renderle Dalia, a partire dal formato dei libri fino ad arrivare alle collane.”

R: “Dalia narrativa, Dalia ragazzi, Gli autorevoli, Le guide fantastiche, La collana visioni e La collana Interamna”, precisa Roberta.

I: “E come siete arrivati a tutto questo in quattro anni?”

S: “In questi anni abbiamo cercato di capire chi eravamo. È la prima cosa che si deve fare. Se non sai questo, difficilmente puoi andare avanti. Siamo partiti con un concetto ampio: i libri belli. Ma se non sei riconoscibile a livello di visione … la domanda è “perché avete aperto una casa editrice?”. La risposta era “perché amavamo i libri”. Ma non era quella la risposta giusta: se ti piacciono i libri vai in libreria e li compri, non li fai. Volevamo aprire una casa editrice perché per noi la lettura di un libro è una cosa fondamentale, e vogliamo che i nostri libri portino le persone a innamorarsi della lettura e a renderla un piacere irrinunciabile nelle loro vite.”

R: “La lettura è un piacere irrinunciabile è la vision della casa editrice. E’ un progetto ambizioso, ma studiando abbiamo scoperto che la vision deve essere ambiziosa. E’ qualcosa verso cui tendere.”

I: “Un’altra caratteristica della Dalia Edizioni è che non pubblica a pagamento, giusto?”

R: “Esatto. Questa è una presa di posizione nettissima. Io ho avuto un’esperienza molto lunga con gli editori. Conoscevo l’ambiente. Quando abbiamo deciso di aprire una cosa nostra la prima promessa che ci siamo fatti è stata dire no all’editoria a pagamento. Se vuoi realizzare cose belle, di qualità, devi andare oltre la logica del pagamento, perché quel tipo di editore pubblicherà esclusivamente perché l’autore gli darà ciò che serve per andare avanti. Questo ti porta a uno stato di cose per cui non ti interessa vendere il libro, dato che l’autore ti ha già pagato; non ti impegni nella pubblicità, nella promozione (che comporta comunque dei costi) … inoltre l’editore andrà a caccia di autori, perché più pubblicherà più guadagnerà. La qualità dei libri si abbassa drasticamente. È uno dei motivi per cui in Italia si pubblicano 60.000 titoli l’anno, la qualità è bassissima e il lettore sta alla larga dalla piccola editoria, che invece di essere l’isola felice che propone cose aldilà del mainstream, oltre le logiche di mercato, è diventata invece qualcosa da cui guardarsi per la qualità terribile. L’editoria a pagamento fa il bene dell’editore che la pratica, ma fa il male della piccola editoria e dell’autore. A questo proposito c’è molta ignoranza, nel senso proprio di non conoscenza. Quando pubblicai il mio primo libro non sapevo nulla di questo mondo. Se non lo hai mai fatto, non puoi saperlo. E gli autori non capiscono la differenza tra un editore a pagamento o non a pagamento. Tante volte ci contattano e ci chiedono “quanto devo pagare?” dandolo per scontato. La nostra è una scelta etica e anche un modo di proporsi. Ma qualche volta ti trovi in difficoltà, perché non sai proprio come spiegarlo.”

S: “Quando l’autore presenta il manoscritto, è solo una bozza. Non c’è ancora l’idea di libro. Noi abbiamo studiato tutti i giorni per fare cose ad alto livello, a livello professionale. Si hanno sempre cose da imparare. L’autore che presenta un libro senza la cura della casa editrice, pubblica qualcosa che non è al livello richiesto. È importante che sia un livello alto, si parla di una cosa preziosa. Il libraio che vuole vendere tiene il libro in vetrina solo nel luogo da dove viene l’autore, altrimenti lo mette nello scaffale sotto al bancone, o nel remoto magazzino. Il libro deve essere in prima istanza qualcosa di bello. Una buona descrizione del contenuto, una buona quarta, una copertina accattivante, sono cose che l’autore non può fare semplicemente perché è la persona direttamente interessata. C’è la soggettività, l’ego, che lo porterà a prendere decisioni non in linea con il livello richiesto. È inevitabile. Chi pubblica a pagamento queste cose non le comprende fino in fondo, poiché viene “truffato” e si sente addosso una bella iniezione di ego. Non basta un codice SBN per pubblicare un libro. Per renderlo pubblico ne devi scavare di buche. Nella vendita si crea un circolo vizioso in cui l’editore si regge sul prestito della banca che gli viene dato perché avrà dei soldi dal distributore. Si portano i libri in libreria e il libraio ti darà la tua percentuale, se vendi. Chi mette il rischio imprenditoriale? L’editore. I tempi sono cortissimi: tre o quattro mesi. Se il libro con distribuzione nazionale ti viene reso dopo quattro mesi, tu non puoi più venderlo.

I: “Ah. Questo è un bel problema.”

S: “Il problema è che devi trovare la tua dimensione di distribuzione. Noi non abbiamo una forza comunicativa o economica tale per poter arrivare su “Il Venerdì di Repubblica” o su “Il sole 24 ore”. Allora abbiamo continuato a fare il lavoro oltre le nostre possibilità. Dove comunichiamo meglio? Sui blog, sulle piattaforme internet. Gestiamo bene anche il locale. Roberta ha l’ufficio stampa. Abbiamo trovato un distributore che lavora su ordine: prende i libri che tu gli invii -e ne prende 100, non 4000-, e li passa ai grossisti, i quali li forniscono ai grandi siti di webstore (amazon, ibs …). La libreria, dopo cinque o dieci richieste del cliente, capisce che la casa editrice ha un seguito, chiamerà il distributore e chiederà altri libri. È una situazione più lenta, ma non sprechi denaro, crei un tuo mercato e soprattutto non fai morire il libro. Noi riusciamo ancora a vendere libri del 2014, come “Falsa Imago” (Riccardo Cecchelin), che con la distribuzione canonica sarebbero andati al macero. E invece, ampliando anno dopo anno il nostro mercato, lo vendiamo nei posti nuovi.”

I: “A questo proposito, so che voi frequentate molte fiere del libro. E’ vantaggioso?”

R: “Sì, ma non in termini di vendite. La cosa importante è confrontarsi con il mercato e con chi fa il tuo stesso lavoro. È fondamentale, soprattutto per costruire l’identità della casa editrice. Quando c’è un tuo vicino di stand riconoscibilissimo per una determinata caratteristica, l’altro che fa una cosa inedita e originale, ti chiedi: comunichiamo un’eterogeneità eccessiva? È stato un problema all’inizio, ma ce ne siamo accorti nel confronto con gli altri.”

S: “Inoltre con la troppa varietà c’è il rischio di essere confusi con gli editori a pagamento -che, a nostro avviso, a breve non esisteranno più. Le persone si stanno svegliando, non esiste più chi non sa utilizzare il computer. L’editore a pagamento si trova a saperne meno dell’autore stesso. Si affermano situazioni come “il mio libro”, dove tu fai da solo. L’editoria EAP inizia ad essere vista per quello che è. Ci sono degli autori, adesso, che alle fiere chiedono se sei a pagamento o meno. In genere non ci sono case editrici EAP, però è pubblicità. “Ti porto il libro a Torino”…”

R: “Ma è uno specchietto per le allodole, l’autore senza esperienza pensa che sia il passo prima della gloria, non capendo che un libro messo su uno stand, senza cura, è invisibile. È un modo per irretire l’autore. Ora iniziano ad esserci delle liste nere su internet.”

S: “Adesso esistono le agenzie letterarie che iniziano a lavorare e questo è quello che fanno: un enorme lavoro di scouting e pulitura del libro. Tramite i contatti iniziano a farlo vedere a editori seri che possono essere interessati. L’agente letterario sa quali case editrici sono interessate a cosa. Alcuni considerano anche chi non paga i diritti come un editore EAP, ma non è propriamente così. Noi paghiamo i diritti, ma il fatto è che si paga una merce che, nel caso del libro, è la possibilità e il diritto di vendere. Se l’autore non è conosciuto, quanto deve lavorare in più l’editore per far arrivare il libro a un alto livello? L’editore è tentato di non prendere libri incapaci di arrivare subito al livello richiesto. A un esordiente conviene pubblicare in maniera seria, magari prendendo poco o nulla, o sborsare di tasca propria per avere un prodotto scadente? In Italia c’è un’enorme confusione sui diritti d’autore. per quanti riguarda lo sfruttamento economico di tale diritto, l’autore riceve un compenso in base alla possibilità di vendita del libro, alla sua notorietà e alla grandezza di case editrici. In Italia un Baricco raggiunge forse l’8%. Con mille copie se ne va il 30%. Il distributore prende il 60%, poiché darà il 30% alla libreria e si prende il suo 30%. A te resta il 10%, con cui devi pagare l’autore, gestire la società, tenere il magazzino, l’amministrazione eccetera.”

R: “Ecco perché è un’attività a basso rendimento!”

I: “Infatti voi avete anche altri lavori oltre a quello della casa editrice …”

S: “Sì, purtroppo e per fortuna: il mondo dell’editoria è molto complicato nella struttura e difficile da gestire. Chi gestisce una casa editrice deve essere innanzitutto un bravo commerciante, perché il libro si deve vendere. Poi deve essere un bravo comunicatore, perché una volta fatto il libro devi far sapere alla gente che esiste, almeno lo compra. Devi essere preparatissimo: il redattore fa un lavoro a 360 gradi: chi fa l’editing di un libro è un tuttologo, deve sapere tutto perché nei libri c’è tutto. Poi c’è la parte amministrativa, di cui noi eravamo digiuni. Senza quella non può partire il marketing, è fondamentale. Dopo 3 anni ci muoviamo in modo molto razionale. Per me è un interesse l’altro lavoro, ma è anche la possibilità di portare avanti la casa editrice.”

R: “Io sono un’impiegata in comune, lavoro all’assessorato alla cultura, ma sono anche imprenditrice. Facendo le due cose ci si rende di quanto i due mondi siano diversi, per tempistiche e dinamiche. Il mio è un bel lavoro, ma su una cosa tua hai la possibilità di realizzare veramente le tue ambizioni. È tutto più difficile, più complicato, e soprattutto se succede qualcosa la responsabilità è tua, nel bene e nel male. D’altra parte tu hai la possibilità di realizzare tutto quello che vuoi. Questa è una dimensione entusiasmante. Di là la situazione è diversa, c’è la stabilità, il fatto che si fa un lavoro gratificante, ma le tempistiche e le dinamiche non sono dettate da te. Passi da timbrare il cartellino e a fare un lavoro con tempistiche molto lente a correre da una parte all’altra. A un certo punto sarebbe bello poter dire “adesso scelgo”.

S: “Ma per farlo ci vuole tempo, quel meccanismo che ha iniziato a girare quattro anni fa deve andare in una certa direzione. Ci sta andando; con tutte le cose che abbiamo fatto durante questi anni abbiamo ragionato sempre molto, non siamo mai andati per istinto. Non so se abbiamo fatto bene o male, ma siamo ancora in piedi e non siamo falliti. Il mondo dell’editoria è un’attività a bassissima resa: la percentuale di utile su un investimento è veramente bassa, e per aumentarla devi aumentare il numero di libri venduti. Facendo questo si abbassano i costi di produzione. Anche se fosse che uno sconosciuto riuscisse a vendere 5000 copie (con cui in Italia si va in classifica), in un anno la percentuale è la stessa che prende l’editore, e si parla di ottanta centesimi a libro. È la prima cosa che diciamo all’autore: “non pensare di fare i soldi con quello che hai scritto”.

I: “Dunque da quanto ho capito una casa editrice non si può basare solo sulla vendita di libri. Avete qualche altro progetto?”

R: “Stiamo cercando il modo di abbinare attività parallele, ad esempio i corsi di scrittura. Li abbiamo sperimentati e sono andati bene, per l’anno prossimo abbiamo delle belle idee, una cosa molto strutturata, un assaggio di accademia. Silvano l’anno scorso ha fatto 10 incontri sulla scrittura generica, io 5 sulla scrittura per bambini e sono durati 3 mesi, con compiti a casa e correzioni. C’è stata un’altissima richiesta. Per l’anno prossimo stiamo strutturando degli inserimenti con le opere d’arte. Opere di grandi artisti che devono dare degli input per dei racconti, ognuno a modo proprio.”

S: “E’ una ginnastica della visione da scrittore. Lo scrittore non è quello che scrive le sue idee su un foglio. È colui che riesce a comprendere il mondo in cui vive e ne comprende le figure chiave, portando la sua comprensione a un livello di narrazione, secondo me. La storia diventa interessante quando rappresenta qualcosa, altrimenti è il raccontino fine a sé stesso. Perché non stiamo considerando tante cose che arrivano? Perché noi ricerchiamo come prima cosa l’originalità, intesa come originalità nel vedere. È uno spicchio di vita visto dai tuoi occhi, questo io intendo con originalità. Quando arriva una cosa del genere, anche se scritta male, si prende. Poi ci si lavora, anche un anno, ma il problema è che arrivano cose già viste.”

I: “Che rapporto avete con gli autori? Come si sviluppa nel tempo?”

S: “Gli autori si odiano. Il rapporto tra un editore e un autore è complicatissimo. Se uno non è attento potrebbe degenerare in cose strane. Einaudi, se non sbaglio, diceva che il rapporto che c’è tra un editore e un autore è come un rapporto tra innamorati, perché è un rapporto in cui una persona dà in mano all’altra la cosa più cara che ha. E l’altra persona si prende la responsabilità di curarla e gestirla. Capisci la tensione emotiva? Da un lato e dall’altro ci deve essere comprensione e rispetto.”

R: “Ci vuole anche una grande capacità di mediazione, soprattutto ci vuole molta intelligenza da parte di tutti. Io faccio l’editing “truce”: si taglia, si fanno osservazioni. La mia prima esperienza da autrice mi ha insegnato qualcosa: quando portai il mio manoscritto e iniziarono a farmi appunti, ogni parola era una pugnalata nello stomaco. Ci resti male, perché hai una cosa preziosissima che stai offrendo. E’ emotivamente difficile da digerire. Spesso ho avuto da discutere, anche animatamente, ma con persone intelligenti. Io mi metto nella condizione per cui sì, ti faccio un’osservazione, ma se non ti sta bene dimmi cosa non ho capito di quello che volevi dire. Si parte in un confronto in cui magari si arriva a una mediazione. Si può dare anche il caso in cui io non abbia capito, e tu non ti sei spiegato al meglio, quindi nella ricerca di una soluzione che stia bene a tutti si crea un percorso creativo. Ci vuole umiltà e mi sono stupita del fatto di aver trovato persone molto disponibili alla crescita.”

S: “C’è un momento critico che ormai conosciamo: quello della consegna della bozza editata. Noi facciamo l’editing man mano con l’autore, ma quando vede tutto insieme c’è un silenzio. La rottura dei sette anni tra innamorati. Un piccolo muso che dura per tre o quattro giorni in cui non bisogna chiamare né fare nulla, bisogna stare in silenzio ad aspettare. Dopo quei quattro giorni l’autore chiama e dice “ci sono delle cose che non mi vanno tanto bene” al che rispondiamo “sì, lo sappiamo, discutiamone”. E la storia riparte. Ma in quei quattro giorni sentire l’autore è pericolosissimo. Da parte degli autori, devo dire, c’è sempre stata una fiducia in noi non indifferente. Noi ormai abbiamo fatto il callo su certe cose, l’autore no. Noi non facciamo osservazioni perché vogliamo dimostrare di saperne di più: il nostro unico scopo è fare in modo che il libro sia perfetto. Ricordo che quando consegnammo la bozza editata di Cacao City, l’autrice (Antonietta Usardi) ci chiamò quasi in lacrime e ci furono quattro giorni di silenzio. Dopodiché abbiamo iniziato un’ottima collaborazione. Dopo quella lesa maestà si è iniziato a lavorare molto bene con lei. Un autore inevitabilmente non vede certe cose, perché le ha scritte e pensate lui, magari ha un’immagine in testa che non ha saputo rendere bene.”

I: “Qual è stata la prima pubblicazione che avete fatto?”

Si guardano e ridacchiano.

S: “In realtà non lo sappiamo. Stavamo curando “Valentino, il segreto del santo innamorato” (Arnaldo Casali), ma contemporaneamente è arrivato “Intrigo a Poggio di Mezzo” (Annalisa Basili): non ci hanno presentato il file, come si usa fare, ma un libro già fatto e stampato senza editore da Castrum Podi Medi.”

R: “Era un progetto portato avanti dall’associazione culturale di Poggio, solo che hanno pensato che con un editore avrebbero avuto una visibilità diversa. Noi abbiamo letto il libro, ci è piaciuto molto, tanto che abbiamo iniziato proprio una collaborazione con Annalisa Basili, e adesso è uscito il secondo romanzo e forse ne uscirà anche un terzo.”

S:”Il 23 gennaio del 2014 nasce formalmente la società da cui nasce il marchio editoriale Dalia. La presentazione fu fatta il sabato successivo, a distanza di due giorni, senza perdere tempo.”

R: “Un primo assaggio di come sarebbe stata la nostra vita.”

I: “Qual è stato il libro che vi ha dato più soddisfazione? Ce n’è uno?”

R: “Ogni libro è qualcosa a cui siamo legatissimi, ma se ne dovessi scegliere uno sarebbe “Michelino per Roma a bordo della fantasia“, anche se non dovrei farlo perché ne sono l’autrice, ma non è questo il motivo: quello non è il mio libro, è l’espressione di un progetto che oramai è comune. Un progetto che io cullavo insieme a Silvano da oltre 10 anni. Ho iniziato a scrivere (tutta questa esperienza per me è nata da scrittrice) racconti per bambini con un’impostazione chiave: l’arte e la storia attraverso la fantasia. Avevo pensato che avere una nostra attività poteva essere un modo per pubblicare i miei libri. Non capivo come gli editori smettessero di essere autori, ma adesso da editrice il fatto che io sia anche un’autrice è accidentale. Le guide fantastiche è la realizzazione di questo sogno: avere una collana ben fatta, secondo il nostro gusto, che racconta le città d’arte attraverso la fantasia, una cosa che non esiste se non da noi. Io sono particolarmente legata a questo libro perché è stato il traino che ci ha portato a volere una casa editrice, è la realizzazione di un sogno cullato per tanto tempo. Si è concretizzato nel primo numero, ma l’idea è che la casa editrice possa andare avanti per tanto tempo respirando attorno a questo progetto, con tanti numeri della stessa collana. Avremo Roma, Milano, Firenze, Venezia. Sarà bellissimo avere tutte le città d’arte raccontate da un punto di vista fantastico, divertendosi in letture per piccoli e grandi insieme.

S: “Devi innamorarti di un libro, altrimenti non lo pubblichi. Poi lo odi, ma prima devi amarlo. E in virtù di questo e di quello che dicevo prima sul punto di vista, quello che ritengo più in linea con la mia visione è “I partigiani non c’erano” (Germano Rubbi). Un libro forte, a livello di punti di vista, di immagini e di personaggi. È ambientato poi nei luoghi che mi hanno visto crescere: zona Calvi dell’Umbria, Narni. Al di là di questo è stato il primo libro curato in modo veramente maniacale. Ho passato un mese sull’impaginazione di quel libro. Doveva essere perfetto, mi ci mettevo tutte le sere.”

A questo punto, sul mio taccuino sarei arrivata all’ultima domanda, ma mi sono resa conto di non avergliene fatta una quasi ovvia.

I: “Come nasce il nome della casa editrice?”

Scoppiano a ridere.

R: “E’ un nome che in verità ci siamo ritrovati e abbiamo tenuto: Dalia era un’associazione culturale nata da poco, che prendeva il nome dal gatto del titolare dell’associazione. Quando l’esperienza dell’associazione è finita, noi lavoravamo già come Dalia da un anno e abbiamo deciso di proseguire con questo nome. L’idea che fosse il gatto e che nemmeno fosse il nostro, ci ha lasciati dubbiosi all’inizio, ma poi abbiamo pensato al fiore. La Dalia è un fiore bellissimo, di cui ci sono moltissime varietà, ne esistono tanti tipi, di tutti i colori, un fiore primaverile-estivo, complicato. Tutto sommato ci piace.”

S: “Lo abbiamo portato come nostra espressione. Un fiore bello che si regala a persone speciali come vorremmo che diventassero i nostri libri.

R: “Abbiamo cercato di ricordarlo anche con il nostro logo, nella circolarità della d tutta rossa.”

I: “L’ultima domanda e poi chiudiamo: cosa consigliereste a chi volesse aprire una casa editrice?”

S: “Di non farlo!” scherza.

R: “Se uno avesse in mente tutto ciò che deve fare e affrontare nel momento in cui decide di aprire una casa editrice, non lo farebbe mai. Se si fa, si fa sull’onda dell’entusiasmo. Devi avere tantissima voglia di lavorare, tantissimo spirito di sacrificio, -anche se è un sacrificio che porta molta soddisfazione- e tante idee. Partendo dal presupposto che un gruppo di ragazzi avesse questa idea, date tutte le precondizioni, il consiglio è essere curiosi, studiare, e non pensare mai di essere i più bravi, ma essere umili e aperti al confronto. problemi si affrontano uno alla volta, non devi essere troppo attaccato ai soldi.”

S: “Ma una casa editrice non è mecenatismo, è anche società. Per definizione l’aspetto economico è una parte importane nella casa editrice: un editore è colui che investe con delle risorse monetarie e lavorative su un’opera per poterla rendere pubblica e vendibile. Prima di aprire la Dalia leggemmo un decalogo di un editore il cui titolo era: “perché non dovete aprire una casa editrice”, e noi, da persone estremamente ottimiste e sicure dei nostri mezzi, ci ridevamo sopra. Diceva “uno: non farete mai i soldi con la casa editrice. Due: non riuscirete a smettere.” Ed è vero: non riuscirai a smettere.”

 

 

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