Tredici: ritratto di una generazione

“Spero tu sia pronto, perché sto per raccontarti la storia della mia vita. Ad esser più precisi, del perché la mia vita è finita. Se stai ascoltando queste registrazioni, allora tu sei uno dei motivi.”
Da questo lugubre discorso prende avvio Tredici, lanciata da poco sulla piattaforma di Netflix e già considerata una delle migliori serie televisive dell’anno in corso.

Tratta dal romanzo cult di Jay Asher, 13 Reasons Why, l’adattamento televisivo decide di assicurare maggior interesse dando ampio spazio a tutti i ragazzi presenti nella vita della protagonista, Hannah Baker (Katherine Langford), che, volenti o meno, hanno contribuito alla sua morte.

Sette audiocassette per 13 lati riassumono i motivi che hanno portato una bella e apparentemente felice adolescente a togliersi la vita, in un viaggio attraverso i temi più difficili che toccano la vita di un liceale: dal bullismo alle dipendenze, dalla sessualità all’isolamento, dal difficile rapporto coi genitori alla mancanza di fiducia in se stessi. L’efficacia di questo mix perfetto di salti tra passato ed presente, guidato dalla voce narrante di Hannah risiede nella schiettezza con la quale vengono affrontati questi temi.
Senza troppi giri di parole ma, allo stesso tempo, con l’adeguata sensibilità ci vengono mostrati tutti quei comportamenti che ogni tipico ragazzo tiene senza dar importanza alle conseguenze che potrebbero avere su chi gli sta accanto.
“Nessuno sa per certo l’impatto che ha sulla vita degli altri. Il più delle volte non ne abbiamo la minima idea. Ciò nonostante, la influenziamo lo stesso.”

Tredici ha un messaggio per tutti noi: genitori, bambini, anziani, gay, etero, studenti e lavoratori.
Si rivolge alle vittime, a chi si immedesima nella figura di Hannah ma, anche, a coloro che hanno fatto del male, a coloro i cui gesti hanno portato alla “disintegrazione” di un altro individuo. L’obiettivo evidente è quello di far riflettere lo spettatore, di fargli aprire gli occhi di fronte ai problemi che affliggono la nostra società e a ciò che noi facciamo o diciamo senza darci troppo peso.

Quante volte abbiamo preso in giro qualcuno scherzando e ridendo senza pensare a come quella persona potesse reagire? Quante volte abbiamo dato per scontato qualcuno? E quante volte abbiamo allontanato un caro perché non eravamo dell’umore giusto, senza pensare se quella persona avesse bisogno di noi?

Pecchiamo di egoismo, falsità e cinismo continuamente senza rendercene conto.

“Sai solo quello che succede nella tua vita, non in quella degli altri. E quando danneggi una parte della vita di qualcuno, non danneggi solo quella parte. Purtroppo non puoi essere preciso e selettivo. Quando danneggi una parte della vita di qualcuno, stai danneggiando tutta la sua vita. Tutto…influenza tutto.”

Brian Yorkey realizza una serie che ha permesso agli spettatori più giovani di riflettere sulle proprie azioni capendo, forse, come queste si riflettano inconsciamente sulla vita degli altri. La struttura episodica permette di vivere questa “avventura” passo dopo passo, di vedere lentamente il baratro nel quale Hannah sta sprofondando.

Con la voce narrante della protagonista e la figura di Clay Jensen (Dylan Minnette) ripercorriamo una storia di cui già conosciamo il macabro finale. Non ci resta che attendere la seconda stagione e scoprire se la Netflix riuscirà a superarsi ancora una volta.


FONTI

cinezapping.com

daninseries.it

CREDITS

copertina

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.